Ai minimi termini, anzi no: il Covid riscrive il verdetto sul tacco

Ai minimi termini, anzi no: il Covid riscrive il verdetto sul tacco

Sembrava definitivo, ma non lo è. Il Covid riscrive il verdetto sul tacco. A un primo acchito la pandemia sembrava aver bruciato il mercato della scarpa alta. La riflessione è semplice: chi ne sente il bisogno, quando non si fa più vita mondana ma, al contrario, si passa tanto tempo in casa? La situazione, però, non è così lineare. Il tacco ha confermato la sua vitalità anche nel 2020. Perché, come ha detto Giorgio Innocenti, patron del marchio Luciano Padovan, anche “i tacchi sono parte della quotidianità” delle donne, “non servono occasioni d’uso” particolari per indossarli.

 

 

Il verdetto sul tacco

Del dibattito sul tacco parliamo su La Conceria n. 3. Nel magazine in distribuzione raccogliamo testimonianza e analisi di mercato che tratteggiano l’andamento della scarpa alta. “Per molti è tutta una questione di zeitgeist. Cioè, di quello che potremmo definire lo spirito dei tempi – si legge –. È impossibile non fare i conti con le conseguenze della pandemia. Una di queste potrebbe essere quella che ha spezzato in due il tacco. Anzi, secondo alcuni, l’ha proprio annientato, abbassandolo a livello zero. Ma esiste un fronte di resistenza, che sostiene, se non il contrario, quasi”. Insomma, “ce ne sarebbe a sufficienza per decretare la morte del tacco”. Invece non è successo.

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