Ficocelli, decano dei calzolai di Milano, non trova apprendisti

Ficocelli, decano dei calzolai di Milano, non trova apprendisti

È un entusiasta Antonio Ficocelli. È un decano dei calzolai di Milano. Lui, classe 1936, a quasi 82 anni apre ogni giorno la bottega in Ripa di Porta Ticinese, sulla sponda del Naviglio Grande, la stessa da 50 anni, e segue con attenzione tutti i clienti. Per lo più, oggi, fa riparazioni o piccoli aggiusti. Ma, nei limiti delle forze e (soprattutto) del tempo, realizza ancora scarpe su misura. Ficocelli, però, prova anche una sorta di amarezza. Perché non ha apprendisti e soffre all’idea di chiudere la bottega senza lasciare a nessuno il suo bagaglio di conoscenze.

Il decano dei calzolai

“Si può fare tutto, si può fare tutto”, rincuora i clienti. In tanti anni di attività, Ficocelli ha visto la scarpa cambiare: non tanto nello stile, ma nella qualità. E non sempre in meglio, c’è da dire. “Quando ho cominciato a lavorare, le persone avevano meno soldi da spendere e per questo, quando facevano un acquisto, si aspettavano calzature eccellenti, durature”. Oggi si sono invertite le priorità: la quantità viene prima della qualità. E per un paio di scarpe fatte a mano, di converso, bisogna essere disposti a investire cifre fuori mercato. “I grandi marchi, i grandi negozi, un po’ se ne approfittano, tanto nessuno ne capisce più di prodotto. Le scarpe di oggi sono robaccia, sono tutte in plastica: un tempo erano solo in pelle e cuoio. L’unica fortuna è che neanche gli inverni sono più quelli di una volta, altrimenti la gente rimarrebbe coi piedi freddi e bagnati”. Attenzione: Ficocelli parla del prodotto di massa. “Nel lusso ci sono scarpe di qualità – e indica un modello di un brand di un gruppo italiano che un cliente da Novara gli ha portato per allargarlo–, ma costano”.

 

 

Una vita nelle scarpe

Pugliese di San Giorgio Ionico, nato in una famiglia di 7 tra fratelli e sorelle, Ficocelli è letteralmente cresciuto nelle scarpe. “I miei genitori lavoravano in campagna e mi affidavano a un compaesano calzolaio: a 12 anni già sapevo fare le scarpe su misura”. L’esperienza indirizza la sua vita e lui accoglie la sfida: “Più grande, ogni giorno facevo 15 chilometri in bici per andare a Taranto in bottega da maestro Matteo per 800 lire al giorno. Con la scusa delle ferie, frequentavo anche un’altra bottega, che me ne dava 1.200”. Ficocelli cresce con una forte cultura del lavoro: “A vent’anni sono partito per il militare, assegnato all’aeroporto di Ghedi, a Brescia – racconta –. Anche in caserma c’era un calzolaio e io, invece di andare in libera uscita, lavoravo per 30.000 lire al mese. Volevo mettere da parte i soldi per aprire la mia bottega”. Cosa che farà una volta rientrato a San Giorgio Ionico. Realizza la forma per scarpe utili ai contadini che arano il terreno e vanno con un piede sul suolo morbido e l’altro sul suolo duro: è un successo.

Il trasferimento a Milano

La provincia di Taranto, a un certo punto, a Ficocelli va stretta. L’acquisto di un terreno per la costruzione di una fabbrichetta porta solo a dissidi familiari. Così, nei primi anni ’70, con la moglie e la prima figlia si trasferisce a Milano. “Avevo una zia a Trezzano. Misi su la mia bottega qui sul Naviglio. A corso Genova c’era un calzaturiere. Mi disse fammi vedere che sai fare, gliel’ho dimostrato e abbiamo cominciato a collaborare”. Non si è più fermato. “È stata una vita di lavoro e sacrifici: mi svegliavo alle tre del mattino e chiudevo alle otto di sera. La domenica facevo mezza giornata. Quando si è il titolare va così: se ci sono necessità, si può solo lavorare di più”. Ma è stata anche una vita di soddisfazioni: “Continue. Ancora oggi”. Non solo per la Michetta D’Argento del 1999, o il recente attestato dell’Unione Artigiani delle province di Milano e Monza-Brianza. “Non sono mai stato rimproverato per un lavoro venuto male, non ho mai scontentato un cliente. Una volta la segretaria di un noto stilista mi mandò a ringraziare per il lavoro che avevo fatto”.

 

Antonio Ficocelli al lavoro nella sua bottega

Casa e bottega

Soddisfazioni e sacrifici. Sacrifici e soddisfazioni. Nella vita professionale e sul lavoro. La strada per diventare decano dei calzolai è stata lunga. “Devo molto a mia moglie, che mi ha capito e mi ha accompagnato. Abbiamo cresciuto due figlie e un figlio a Milano. Hanno studiato e si sono laureati, rispettivamente in Economia, Giurisprudenza e Ingegneria Informatica. Non hanno voluto proseguire il mio mestiere, confesso che mi avrebbe fatto piacere, ma mi hanno aiutato tutti in bottega. La bottega insegna la vita, qui si impara ad avere a che fare con le persone, a rispettare i tempi. Se sono riusciti nelle loro professioni, dipende anche dal lavoro che hanno fatto con me”.

Ora che è un decano dei calzolai

Ficocelli lo riconosce: forse, se ci avesse pensato prima, ora sarebbe già in un circuito tale per avere apprendisti in bottega. Fatto sta che non ne ha e non ne trova. “Intorno a me ho solo calzolai in pensione, che mi vengono a dare una mano. Io vorrei apprendisti, giovani da formare, da selezionare, perché questo lavoro non è da tutti, a cui insegnare il mestiere. Ne potrei prendere 3 o 4. Ma ho bisogno di parlare con le associazioni, o il comune, per fare le cose per bene per superare i problemi burocratici”. È un’opportunità, dice, “perché lavoro ce n’è e la bottega è una scuola di vita”. Ed è una missione, “perché non si deve lasciar sparire i mestieri artigiani”. (rp)

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