Adidas, almeno in principio, aveva opposto una forma di resistenza alle pressioni di animalisti e vegani. Era il gennaio 2024 e un suo portavoce diceva che il brand era talmente sicuro della sua filiera di approvvigionamento di pelle di canguro da non sentire la necessità di metterla in discussione. In breve tempo il brand tedesco, però, ha preferito darla vinta ai cialtroni annunciando che da agosto 2024 non acquista più pellami di canguro e che dal 2026 non produrrà più calzature che le montano. Adidas, purtroppo per noi, è in ottima compagnia a proposito di abiure utili solo agli uffici marketing.
I termini della questione
La questioni è annosa e chi segue le nostre cronache la conosce. Da una parte ci sono le sigle veg che strepitano perché “l’industria del canguro che fa strage di animali innocenti”. Dall’altro c’è quanto spiegano le autorità australiane e KIAA (l’associazione di riferimento, Kangaroo Industries Association of Australia): non c’è nessuna strage in corso. Ogni anno le amministrazioni con l’aiuto dei consulenti scientifici stabiliscono la quota di abbattimenti degli esemplari delle specie più invasive per regolarne la popolazione. Solo a questo punto subentrano gli operatori commerciali che ne valorizzano la pelle. L’idea che in tutta l’Australia sia possibile una caccia al canguro senza limiti e senza morale e che, soprattutto, i conciatori ne siano i mandanti è un argomento che non ha corrispondenze nella realtà dei fatti.
Ma la danno vinta ai cialtroni
Eppure i brand preferiscono, per togliersi di impiccio, bandire il materiale piuttosto che difendere il proprio operato. In passato si sono comportati così marchi sportivi, come Diadora, e dell’alto di gamma, come Versace e Ferragamo. Di recente si sono sfilati a breve distanza l’uno dall’altro Mizuno e Asics. Come spesso capita in questi casi, è nei numeri che si capiscono le ragioni di certe prese di posizione. Nel gennaio 2024 lo stesso portavoce di Adidas spiegava che le scarpe da calcio con tomaia in pelle di canguro rappresentano lo 0,5% della produzione totale del brand. Ecco, si vede che per un marchio internazionale una quota così bassa non vale lo sforzo di rispondere alle campagne mediatiche degli antagonisti vegani.
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