Zimbabwe, niente fondi senza export: il cortocircuito è servito

Zimbabwe, niente fondi senza export: il cortocircuito è servito

Una contraddizione, a scapito delle opportunità di export di preziose pelli esotiche, arriva dalla Repubblica dello Zimbabwe. Nello stato dell’Africa meridionale, primo a livello continentale e secondo a livello mondiale per l’esportazione di pelle di coccodrillo, i conciatori hanno difficoltà ad accedere ai 5 milioni di dollari messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale. Dovrebbero servire per “il miglioramento dei macchinari per l’industria conciaria” e, quindi, poter esportar. Ma i fondi sono previsti solo se già esportano. Il cortocircuito è servito.

Il cortocircuito è servito

FMI veicola questi aiuti attraverso gli SDR (Special Drawing Rights), una riserva economica calcolata su 5 valute, tra le quali naturalmente dollaro e euro. Ma non si tratta di trasferimento diretto di valuta. Il problema è di tipo contabile perché, anche se si tratta di liquidità, le banche dello Zimbabwe non possono trarne alcun beneficio e, quindi, non è possibile finanziare il miglioramento tecnico delle concerie.

 

 

Stallo anomalo

Durante la presentazione del Leather Value Chain Competitiveness Report, come ricordato sulle colonne del chronicle.co.zw, questa situazione anomala di stallo procedurale è stata presentata ai referenti del Ministero dell’Industria e del Commercio dal CEO di Zambezi Tanners, Arnold Britten. Il manager ha evidenziato una serie di colli di bottiglia nell’accesso al fondo. Ma anche la necessità stringente di rinnovare le concerie dello Zimbabwe, che lavorano in gran parte con macchinari dei primi anni ’80 del ‘900.

I fondi sono previsti solo se già esportano

“Due concerie hanno visto rifiutarsi il prestito, garantito con il FMI, perché non generano valuta estera – ha ricordato Britten -. Per noi di Zambezi Tanners ci sono voluti quasi tre anni per portare qui tutti i macchinari e prima ancora di ricevere tutti i macchinari bisogna rimborsare il prestito”. L’accusa alle aziende è di non esportare e, quindi, di non avere liquidità in dollari americani. Ma rimborsare prestiti a tassi altissimi, anche del 150% è difficilissimo. E se a questo ci si aggiunge il costo ancora troppo alto di pezzi di ricambio, è normale che questo incida sul costo delle pelli, che rischiano di non essere competitive sui mercati internazionali.

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