La Procura di Milano indaga sul caporalato nella filiera lombarda

La Procura di Milano indaga sul caporalato nella filiera lombarda

Paghe da 3-4 euro l’ora, turni da 10 ore (mentre in busta paga ne segnavano 4), nessun rispetto delle norme sulla salute o sulla sicurezza. Laboratori dormitori con operai controllati h24. C’è del marcio in Lombardia. Dopo il caso di Alviero Martini, la Procura di Milano indaga sul sistema di subappalti della fornitura delle griffe. Venerdì 5 aprile Giorgio Armani Operations (GAO), principale controllata da Giorgio Armani spa (a cui nel 2022 ha girato una cedola di 55 milioni di euro a fronte di 911 milioni di ricavi), è finita in amministrazione giudiziaria. La società è destinataria di una misura di prevenzione di un anno a seguito di un’inchiesta dei PM Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei Carabinieri del nucleo Ispettorato del Lavoro. Come si legge nel decreto del Tribunale di Milano, la società è stata “incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento”, agevolando “colposamente” il caporalato.

La catena di subappalti

Al centro dell’indagine c’è un sistema di fornitura e subfornitura non controllato. Una catena di appalti per la produzione di borse, cinture e oggetti di pelletteria che finiva per esternalizzare a opifici abusivi, con manodopera in nero e irregolare. Il sistema, stando alle ipotesi della Procura di Milano, funzionava così. Giorgio Armani Operations aveva contratti di fornitura con Manifatture Lombarde (Milano) e Minoronzoni (Bergamo). Ma queste a loro volta affidavano il lavoro a ditte esterne. Si tratta di quattro laboratori tra Milano e Bergamo trovati in fallo di gravi inadempienze e irregolarità: pelletteria Gold di Chen Xiulin, Pelletteria Giulio di Lu Shenjao, impresa individuale Wu Cai Ju e Cinturificio Li Wang. Sono scattate sanzioni per quasi 150.000 euro.

 

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Un sistema opaco

Secondo la ricostruzione inserita nel decreto dalle ispezioni effettuate tra il 2017 e il 2024 gli opifici indagati risultavano in “condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”. Dei dormitori abusivi ospitavano la manodopera. Nei capannoni gli operai mangiavano e dormivano, tutto per avere “una forza lavoro immediatamente reperibile e disponibile h24“. Erano continuamente sorvegliati, visto che i ritmi di produzione arrivavano a 14 ore al giorno”. Dalle testimonianze riportate, una 22enne italiana dichiara di essere stata “assunta formalmente per 4 ore giornaliere, ma in realtà lavorava 10 ore al giorno dal lunedì al sabato”. I lavoratori hanno riferito “di percepire dai 3 ai 4 euro l’ora”.

Un tavolo per le criticità

Quello di Armani è il secondo commissariamento dopo quello di Alviero Martini. “Sarebbe opportuno avviare, come fatto nel settore della logistica da parte della Prefettura di Milano, un tavolo per le criticità degli imprenditori della moda, che costituisce un settore di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale”, ha dichiarato il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia. GAO sarebbe stata “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.

La replica di Armani

Il gruppo Armani ha replicato che “la società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi”. Giorgio Armani Operations “collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione”, ha spiegato l’azienda. (mvg)

foto a sinistra da ANSA, a destra da Shutterstock

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