Presto per il reshoring: Covid-19 non riporta lavoro in Italia

Presto per il reshoring: Covid-19 non riporta lavoro in Italia

Inizialmente, qualcuno ci aveva sperato. Il rallentamento delle produzioni in Cina avrebbe potuto favorire il reshoring verso l’Italia, magari nel segmento premium. Ora che l’emergenza è globale, sappiamo che Covid-19 non riporta lavoro in Italia. Lo spiega Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda, e lo testimonia un pellettiere abruzzese.

Covid-19 non riporta lavoro in Italia

Certo, il reshoring sarebbe un bel colpo per “i distretti più reattivi, come Toscana, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna”, così come per le aziende del Sud. Ma ci sono motivi per temere che l’Italia non sia in grado di raccogliere quote di lavoro che, forse, potrebbero rivelarsi un vantaggio per altre filiere nazionali. “Si sta parlando di reshoring, con picchi soprattutto dopo l’emergenza cinese – afferma a MFF Claudio Marenzi –, non solo per un fattore legato alla disponibilità del sourcing produttivo, ma anche per migliorare il lead time, ovvero i tempi di consegna”. Non tutto è così semplice, dicevamo. “Alcuni passaggi della produzione in Italia non esistono proprio più – continua Marenzi – in quanto decentrati negli anni e quindi non avremmo neanche competenze a breve. Questo dovrebbe soprattutto far pensare sulla delocalizzazione selvaggia del passato”. Il rischio, dunque, è che, se reshoring sarà, a trarne vantaggio saranno altri Paesi. “Se le difficoltà da noi proseguiranno, potrebbe essere plausibile – conclude – che ad approfittarne saranno Turchia ed Europa dell’Est. Uno scenario che metterebbe a forte rischio alcune fasi della filiera made in Italy”.

 

 

Dicono in Abruzzo

“All’inizio ci eravamo illusi. Pensavamo che l’esplosione del virus in Cina potesse, paradossalmente, far rientrare qualche produzione in Italia. E, invece, è accaduto esattamente il contrario”. A parlare con Il Centro è Giovanni Di Michele, pellettiere teramano. Il quale testimonia come, al contrario, gli affari rallentano. “Subiamo due effetti negativi – spiega –: i grandi brand della moda hanno avuto un crollo enorme delle vendite, con la chiusura momentanea dei negozi in Cina e il blocco delle attività. Questo ha prodotto il blocco immediato delle commesse in corso, con una percentuale che oscilla tra il 15 e il 40%. Il contraccolpo, per il distretto moda del teramano, è stato immediato, con un calo degli ordinativi pari al 40%”. E poi c’è il tema delle relazioni con la Repubblica Popolare. “Abbiamo problemi anche per le commesse in corso, a causa della sospensione della produzione e dei ritardi nelle consegne dei prodotti che arrivano dalla Cina – continua Di Michele –, come fibbie, chiusure e accessori metallici per cinte e borse, in quanto molte fabbriche cinesi sono ancora chiuse e quelle che hanno ripreso le lavorazioni scontano una carenza di operai”.

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