Valleverde-Goldstar batte Birkenstock: non ne copia il battistrada

Valleverde-Goldstar batte Birkenstock: non ne copia il battistrada

Il gruppo ValleverdeGoldstar batte Birkenstock. Il brand tedesco ha citato in giudizio quello italiano per violazione della proprietà intellettuale. L’oggetto del contendere è un particolare battistrada disegnato sul fondo della calzatura. Birkenstock ha cercato finora invano di registrarlo a livello europeo. La società italiana guidata dalla famiglia Silvagni ha resistito e vinto in quattro tribunali europei: Germania, Benelux, Italia e Francia. Valleverde-Goldstar si gode il risultato legale, ma fa anche i conti con il -30% del fatturato del 2020. Ne parliamo con Elvio Silvagni (nella foto).

Valleverde-Goldstar batte Birkenstock

Ci spiega come è andata con Birkenstock?
È una battaglia che dura da cinque anni e che non è finita. Pochi mesi dopo aver acquisito il marchio Valleverde (nel 2015) è arrivata la citazione di Birkenstock nei confronti di Goldstar per l’utilizzo di un fondo con un disegno particolare sul battistrada. Siamo nati con quell’articolo, che ancora oggi è un bestseller. Abbiamo cominciato a lottare.

Che cosa è successo fino ad oggi?
Nei vari tribunali, ultimo quello di Parigi con la sentenza del 29 gennaio scorso, abbiamo dimostrato che si tratta di una suola che utilizziamo da 40 anni. E che, dunque, possiamo usare in modo del tutto legittimo.

Guerra finita?
Non lo so. Birkenstock potrebbe fare appello alle sentenze, ma ha già quattro sconfitte contro di noi, nonché il rifiuto di registrazione del brevetto in Europa (Euipo) e in Francia (Inpi). Quantomeno ha una strada in salita. Potrebbero non demordere, ma noi siamo pronti.

Qual è l’obiettivo di questa causa?
I grandi gruppi hanno soldi da spendere per tutte le cause che vogliono, mentre una piccola azienda non ha le risorse per resistere. In definitiva, credo sia stato un maldestro tentativo di Birkenstock di eliminare un concorrente per via giudiziaria.

 

 

I tribunali hanno condannato Birkenstock a pagarvi le spese legali?
Sì, ma sono briciole rispetto alla spesa effettivamente sostenuta.

Una soddisfazione che arriva in un momento difficile…
Sì. Nel 2020 abbiamo perso circa il 30% di fatturato, ma è stata una nostra scelta. Non abbiamo forzato le vendite per non mettere in difficoltà i nostri clienti. Abbiamo rinegoziato gli ordini in essere in base alle loro capacità e necessità.

Prospettive?
Non ci sono al momento. Nel senso che non si sa quando la pandemia finirà. Devo dire che la campagna vendita invernale è andata piuttosto bene, ma credo che per tornare ai livelli pre-pandemici dovremo aspettare almeno il 2022. Ma quanti negozi troveremo ancora?

Come avete resistito voi, che non vendete online?
I costi sono scesi da soli perché non ci sono state le fiere e la rete commerciale è rimasta ferma.

La vostra supply chain ha risentito della pandemia?
Un po’ abbiamo sofferto, perché la produzione andava a rilento e c’erano aziende a corto di personale.

E ora?
Ora i problemi sono due: l’aumento dei costi, dalla materia prima alle spese di trasporto, e l’allungamento dei tempi di percorrenza delle merci. Insieme ai negozi, sono le incognite per la produzione per l’estate 2022. (mv)

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