D&G, il modello produttivo va preservato (ma chi lo eredita?)

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La risposta di Dolce & Gabbana a un mercato del fashion sempre più complesso poggia su un modello produttivo dove realtà industriali e artigianali convivono. Il brand fondato da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, che tra impiegati diretti e indotto occupa 25.000 persone, sa di dover tutelare le piccole imprese artigiane sulle quali fa fondamento. Intanto, il giro d’affari è confortante, mentre la gaffe cinese, l’incidente diplomatico che è valso a D&G l’astio del pubblico del Paese asiatico, è ormai alle spalle. I due stilisti ne parlano in un’intervista a L’Economia, inserto del Corriere della Sera.

Il modello produttivo
“Il punto di partenza è un modello di artigianato e industria, tradizione che cuce assieme innovazione, digitale e tecnologia – spiega Domenico Dolce –. Abbiamo quattro poli produttivi nel gruppo, tutti in Italia, a Legnano 745 persone, a Incisa Val d’Arno 380, a Lonate Pozzolo 300 e a Sarmeola di Rubano 178. È il cuore dell’attività, la parte creativa, artigianale e umana sulla quale abbiamo investito fin dal 1984”. L’indotto della griffe, però, ha bisogno di maggiore tutela, non tanto dai committenti, quanto dall’amministrazione pubblica. “Non chiediamo aiuti, ma la semplificazione del lavoro – continua Gabbana –, l’eccesso di burocrazia. Vorrei che si desse supporto agli artigiani che non riescono a campare. Sono talmente tassati che a volte ci dicono di non poter più lavorare per noi. Questo vuol dire rinunciare all’eccellenza, fare un regalo ai Paesi che ci copiano e perdere il vantaggio competitivo”.

 

 

Il giro d’affari
I risultati di Dolce & Gabbana (1,349 miliardi) confortano sulla tenuta del brand. Dallo scivolone cinese, dicevamo, è passato quasi un anno. Quali sono gli equilibri sui mercati internazionali? “Siamo stati sorpresi da Paesi come Brasile e Messico che corrono molto più del previsto — dicono insieme —. Ma anche la Cina si sta riprendendo. Dopo gli errori le cose si fermano, ma poi tutto ricomincia”.

Eredità
Dolce ha 61 anni, Gabbana 57: perché vadano in pensione ci vuole ancora tempo. I due, però, cominciano a pensare a che cosa ne sarà del marchio dopo di loro. “La nostra idea è lasciare spazio agli altri che lavorano con noi, dipendenti e famiglia – dice Gabbana –. Il mio modello è Hermès, dove la dinastia è tornata in forza al timone e non si è affidata ad altri stilisti”. Cioè? “Passano le generazioni e la famiglia resta. Noi lasceremo un DNA al nostro gruppo di lavoro – conclude –, cioè ai nostri stilisti interni. Poi c’è la famiglia, i fratelli di Domenico: Alfonso e la sorella Dorotea”.

 

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