Il marketing non basta più, il lusso è noioso: Gucci cambia ancora

Il marketing non basta più, il lusso è noioso: Gucci cambia ancora

Il coronavirus è stato un colpo capace di trasformare le abitudini profonde delle persone. Ma non c’è solo questo. Ad ascoltare Alessandro Michele, certi standard dell’alta moda erano diventati noiosi, mentre il pubblico più giovane sfugge ai vecchi arnesi del marketing. Per questo Gucci cambia ancora: parlando con El País Semanal, lo stilista spiega le sue scelte recenti e la sua visione futura. Per il brand ammiraglio di casa Kering, nulla è più come prima. Né tornerà ad esserlo.

Gucci cambia ancora

Il primo passo è stato L’Epilogo di Gucci, pubblicato in estate. Poi è arrivata l’Ouverture of Something that never ended. La rivoluzione di Alessandro Michele (nel riquadro, foto Shutterstock) si è basata su veri e propri manifesti programmatici. E sul dialogo con il CEO della griffe. “Ho parlato in modo molto onesto con Marco Bizzarri e abbiamo deciso di proseguire il nostro percorso in un modo differente – racconta –. Ripetere le stesse formule di sempre è la scelta più facile, ma non è la più sicura. Perché diventa noioso per te, per i tuoi clienti e anche per i giornalisti. Non vogliamo annoiarci. Mai più. La moda è interessante proprio perché non conosce una ricetta fissa”. Il cambio di passo di Gucci ha previsto un nuovo calendario delle presentazioni, nonché la riduzione stessa delle collezioni. “Non dico che voglio fare di meno – chiarisce Michele –, perché sono ossessionato dal creare. Ma voglio uscire in un modo diverso. Le persone sono pronte, perché si sono stancate di seguire un programma così prevedibile come la moda. Qualcosa è cambiato per sempre dentro di noi. Non torneremo mai più dove eravamo. È una nuova era. Come un dopoguerra, perché la pandemia è stata come una guerra”.

I livelli di produzione

Proporre meno collezioni, vuol dire anche produrre meno. Secondo Michele, è ora di riallinearsi con la domanda: uscite tanto frenetiche destinate a finire in breve in offerta non hanno più senso. “Quando vedo prodotti molto scontati, venduti quasi per niente, penso che sia una vecchia formula. Viviamo in un’epoca in cui dovremmo voler evitare gli sprechi – è l’opinione dello stilista –. Non ha senso riempire i negozi con un milione di cose e poi abbassare il prezzo perché altrimenti non si vendono”. Gucci ha già deciso di tagliare la scontistica: “Il nostro merchandising funziona molto bene perché rispettiamo il mercato. Se non dai tu valore al tuo prodotto, non lo farà nessuno – continua – . Per di più se oggi compri qualcosa e tra un mese lo metto in saldo con il 50% di sconto, è come se ti stessi derubando”. Si tratta, a suo dire, anche di una forma di rispetto per la catena del valore. Le svendite sono “ingiuste anche nei confronti della filiera. Una borsa è una borsa: dopo quattro mesi non si è dimezzata”. Perché dovrebbe farlo il prezzo?

Il rapporto coi giovani

Le questioni si compenetrano. Se non c’è più bisogno di un frenetico programma di capsule, se non bisogna affollare i negozi di merce che rischia di rimanere invenduta, dipende anche dal cambio di paradigma nel rapporto tra griffe e cliente. “Negli ultimi 15 o 20 anni ci hanno convinto che il marketing fosse la priorità. Posso venderti quello che voglio, dicevano – spiega –. Fortunatamente, non è più vero. Non compreremmo, me compreso, tutti i prodotti che ci sbattono faccia. Il tempo del modello su una sedia con una borsa è finito”. Soprattutto per la Gen Z, che guarda al mondo con occhi completamente diversi. “Non è che siano coraggiosi: semplicemente non hanno paura di essere chi sono. Rappresentano un nuovo capitolo della storia – conclude Michele –. I marchi che cercano di manipolarli attraverso il marketing sbagliano. Il marketing deve inseguire la creatività, non il contrario: in quel caso sei morto”.

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