La scelta di Ruffini, tra cedere Moncler o investire in un polo

La scelta di Ruffini, tra cedere Moncler o investire in un polo

Remo Ruffini non nega la circostanza: ha valutato l’ipotesi di cedere Moncler, ne ha parlato con potenziali investitori. Quando l’intervistatrice gli ricorda i rumor su abboccamenti con Kering, con Burberry, con Ferragamo, l’imprenditore riconosce “di aver chiacchierato con diverse persone”. Perché Moncler era a un bivio. Per crescere ancora, aveva due opzioni: aggregarsi a un grande gruppo, o acquisire per costituirne uno nuovo. Al termine delle sue riflessioni, Ruffini ha deciso di investire oltre 1 miliardo nell’acquisizione di Stone Island (a sinistra, un capo in pelle della griffe, immagine tratta da stoneisland.com). “Tanti mi avevano indicato – dice a L’Economia de Il Corriere della Sera – come la persona che avrebbe dovuto creare un gruppo del lusso. Ma intendevano il lusso tradizionale, che non è quello che ho in mente di fare”.

Cedere Moncler

Le premesse all’operazione Stone Island erano due. La prima era la necessità, o l’ambizione che dir si voglia, di alimentare il percorso di crescita. “Era un po’ di tempo che cercavo di creare valore a Moncler e non l’ho mai nascosto”, racconta Ruffini. La seconda era una disponibilità finanziaria che rendeva sostenibile un investimento. “Il mercato mi ha spinto molto ad acquistare qualcosa – continua –. Dicevano che l’azienda aveva molta cassa e che non era efficiente tenerla”. Non era detto che le due condizioni portassero a un’acquisizione: potevano concludersi con una cessione. “Ho sempre detto onestamente che chiacchieravo con diverse persone, anche con aziende, concorrenti – ricorda l’imprenditore –. Sono andato a cercare o rispondevo alle chiamate. Ho dialogato con molte persone piacevoli e interessanti, ma si tratta di cose passate e credo che sia giustissima la scelta che abbiamo fatto oggi”.

Il polo del lusso (diverso)

Ruffini, però, con il suo nuovo polo non ha intenzione di andare a intasare le zone già sature del mercato. Anzi, la sfida, spiega, è individuare aree dove è possibili essere autonomi quando ormai anche Louis Vuitton e Gucci hanno messo radici nel casual. “Negli ultimi tre quattro anni ho cercato un posizionamento alternativo perché sentivo che al lusso, così come lo abbiamo sempre inteso, mancava sempre più energia – conclude –. Ho fatto Genius. E, a quel punto, ho cercato anche un’altra azienda, un altro marchio che fosse vicino ai giovani, che sapesse comunicare con loro”.

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