La voce sul polo Exor-Armani monopolizza la febbre da merger

La voce sul polo Exor-Armani monopolizza la febbre da merger

Di acquisizioni se ne sono già viste molte. Altre se ne vedranno ancora. Il fashion è pervaso dalla febbre da merger: dopo il Covid, a chi ha riserve di liquidità ed è pronto a investire, fa da contraltare chi valuta (forse per la prima volta) di cedere. Il rumors sulla possibilità che Armani costituisca con Exor il polo del lusso italiano ha monopolizzato la scena. Malgrado le smentite. Dallo scenario, intanto, c’è anche chi si tira fuori. È il caso di Kiton, ad esempio, orgogliosa della sua indipendenza.

Il polo Exor-Armani

A scatenare le indiscrezioni è stata l’intervista di Giorgio Armani a Vogue. Da quando King George ha aperto alla possibilità di una sinergia con un partner italiano, gli osservatori si arrovellano per capire chi possa essere questo partner misterioso. Si sono fatti i nomi di Moncler, OTB ed EssilorLuxottica, ma tutte le piste sono state smentite. Anche la voce che porta ad Exor, la società finanziaria della famiglia Agnelli, è stata smentita. Anche La Repubblica, il quotidiano del gruppo GEDI (che fa capo alla stessa famiglia Agnelli), scrive che il rumor non ha riscontri. Eppure è il più forte e affascinante: perché Exor ha di recente investito nella moda e perché Armani ha appena siglato una partnership con Ferrari. “Sicuramente in Exor c’è il desiderio di cogliere le opportunità del settore moda. Ferrari da tempo sta cercando di elevare il brand con partnership deluxe – commenta Susy Tibaldi, analista di UBS, con MFF –. Sono tanti gli imprenditori italiani che sognano un polo del lusso tricolore che possa competere con i big internazionali. Io vedo un progetto con un senso”.

 

Febbre da merger

Secondo gli osservatori, l’attenzione non va rivolta tanto ai big, ma ai marchi indipendenti. Dalla contesa, però, c’è chi si tira fuori. È il caso di Antonio de Matteis, CEO di Kiton. “Ogni tanto offerte di acquisizione arrivano”, riconosce con Adnkronos, ma la sua risposta è “assolutamente no”. L’azienda ha 5 siti produttivi in Italia, 60 boutique monomarca nel mondo e 850 dipendenti. “Il 2021 sarà un anno di equilibrio – spiega –. Vediamo come andrà la situazione nel mondo. In Europa ci sono parecchi lockdown ma sembra che gli Usa stiano ripartendo. È difficile fare previsioni ma speriamo di fare meglio dell’anno scorso”.

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