NYT avvisa: le aspettative sul revenge spending andranno deluse

NYT avvisa: le aspettative sul revenge spending andranno deluse

Alla base di tutto c’è un equivoco, perché a un certo punto si è affermata l’idea che “il miglior giorno di vendite di Hermès sarebbe stato il trend”. A due mesi di distanza dall’exploit della griffe francese a Guangzhou, il New York Times torna sull’argomento. E spiega che le aspettative sul revenge spending andranno deluse. Nel mezzo della pandemia da Coronavirus “nessuno corre a rifarsi il guardaroba, non vedremo così tanti acquisti in Cina dettati dal senso di rivalsa”, scrive Vanessa Friedman, Fashion Director della testata. Ma non è detto sia una male.

Le aspettative andranno deluse

Che cosa è cambiato tra le aspettative degli inizi di aprile e i fatti della primavera inoltrata? Il contesto psicologico. Gli analisti ora spiegano che i consumatori si dicono “orientati a comprare meno capi”. Secondo la consulente Lucie Greene nello shopping si pone una questione sociale, cioè la vergogna di mostrarsi nelle possibilità di fare acquisti: in questa epoca “il desiderio fine a se stesso di prodotti nuovi – dice al NYT – risulterà davvero inappropriato”. Il fenomeno influenzerà lo stile, perché andiamo incontro a una stagione come quella post 2008, quando risalì la quota del lusso discreto, a discapito di quello logo-centrico: “Le pubbliche manifestazioni di ricchezza – si legge – saranno mediate al ribasso”. Avrà un impatto sulle vendite? Certo, ma non perché queste diminuiranno in termini assoluti: si ricomporranno. Gli stessi consumatori orientati a comprare meno non sono per questo propensi “a spendere necessariamente meno”, aggiunge Friedman.

La centralità del prodotto

Con l’approccio al consumo, dunque, cambia anche quello al prodotto. “Sarà più rilevante un bel capo, che può essere indossato in più occasioni e per più anni”, nota Grenee Una moda senza tempo è una moda che ha valore – chiosa Friedman –, che può essere indossata o reindossata, nonché venduta e rivenduta”. Ma è Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, a cogliere nel segno: “Questa esperienza ci ha insegnato che non ci manca la roba, ci mancano le persone. Non ci serve un’ulteriore maglietta uguale alle altre, ma un capo che trasmetta un’idea, una cultura”.

Immagine Shutterstock: consumatori cinesi attendo il loro turno all’ingresso di uno store a Suzhou, alle fine dello scorso mese di aprile

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