NYT critica GucciFest, “Manca la svolta cinema-moda: è noiosa”

NYT stronca Guccifest: “Manca la svolta cinema-moda, è noiosa”

A Vanessa Friedman l’ultima trovata di Alessandro Michele non è piaciuta. Certo, c’entra il fatto che le aspettative, come per ogni cosa che riguarda il brand ammiraglio di casa Kering, erano alte. Ma la fashion director del New York Times è più che delusa. La prima firma del NYT critica GucciFest, la rassegna online ideata dallo stilista romano. “Non rappresenta una vera svolta nel rapporto tra cinema e moda – scrive –. Alla fine è noiosa”.

Vanessa Friedman critica GucciFest

La premessa è che Friedman, da quando il coronavirus ha imposto lo stop (parziale o totale) alle usuali fashion week, sperava in qualcosa di più da parte dei brand. Auspicava, cioè, che le griffe “invece di cadere nella comfort zone degli spot pubblicitari, avrebbero proposto una forma diversa di narrativa”. Col senno di poi, può dire che “fatte salve alcune eccezioni, non è accaduto”. Friedman, dunque, riponeva l’ultima dose di fiducia in Michele, ma anche questa, in fin dei conti è stata tradita. “Ouverture of Something That Never Ended, alias la miniserie di Gucci, è ben intenzionata – sentenzia –, splendidamente girata, a volte stimolante, ma alla fine noiosa”. In che senso? La cronaca della giornata dell’attrice Silvia Calderoni “è sia pedante che surreale. Anche pedantemente surreale”.

Tra cinema e moda

La firma del NYT non ce l’ha con il lavoro del regista Gus Van Sant. Friedman insiste sulla incapacità del GucciFest di tenere insieme valore cinematografico e comunicazione della moda. “In conferenza stampa Michele aveva detto di voler liberare i vestiti – ricorda –, affinché non fossero imprigionati nei negozi. La miniserie lo fa”. Da un punto di vista commerciale potrebbe anche funzionare: “La collezione Gucci vive e respira sui personaggi, a volte in modo soffocante – continua Friedman –. Potrebbe esserci qualcuno pronto a comprarla”. Il problema è che “tra tutti gli abiti, le gonne e i pantaloncini – conclude – non ci sono davvero nuove idee: l’unica nuova idea è la serie”.

 

 

Un fatto di stile

Impressioni simili si riscontrano anche da altre firme in rassegna stampa. Il critico cinematografico Marco Giusti, ad esempio, verga l’encomio di Gus Van Sant: “Ci ritrovo molti più stimoli, anche culturali e visivi, e molte più star – scrive su Dagospia – che in molta TV, compresi talk-xfactor-series netflix, che siamo costretti a vedere causa pandemia”. Ma c’è anche chi comincia a problematizzare, come fa NSSmag, la storia stilistica di Gucci. È stato tale l’impatto di Michele che “il ricordo di ciò che era il brand prima del suo arrivo comincia a sbiadire”. L’eleganza, il minimalismo e la sensualità delle linee di Tom Ford e Frida Giannini ormai appartengono al passato, insieme al loro impegno per riconquistare il pubblico genuinamente high end. Con lo stilista romano sono arrivati l’esoterismo, l’identità fluida e, soprattutto, la cultura del logo. “Il passaggio dalla vecchia alla nuova moda sta tutto qui: l’etichetta è il simbolo di uno shift che, più che riguardare i designer, riguarda la cultura che circonda la moda”.

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