Beffa per Maffei, “troppo cara” per la promozione negli Emirati

Beffa per Maffei, “troppo cara” per la promozione negli Emirati

“Mi sarei aspettata qualsiasi risposta. Ma essere rifiutata perché la mia borsa è troppo cara per i Paesi del Golfo, no. Questa non la posso accettare”. Marica Maffei è giovane, ma è forte della quarantennale tradizione familiare nell’industria della moda. L’imprenditrice solofrana ha lanciato il marchio Maffei con alle spalle, cioè, l’heritage di quattro decenni da fornitore di abbigliamento e pelletteria per le grandi griffe. Questo del brand proprietario è un progetto nel quale Marica Maffei crede e investe. Per questo, quando ha risposto lo scorso inverno al bando della Camera di Commercio italiana negli Emirati Arabi Uniti, contava di dare seguito alla sua strategia di crescita. Quale opportunità migliore, si è detta, di un piano di promozione del made in Italy in mercati ricchi come gli Emirati, l’Arabia Saudita, il Bahrain, il Kuwait e l’Oman? Peccato che la risposta sia stata una beffa.

Il bando

Riavvolgiamo il nastro. Il progetto della sede di Dubai della Camera di Commercio si chiama “JFB – Jewellry Fashion and Beauty in the Gulf Countries”. Ha l’obiettivo di promuovere nella regione, a partire da maggio 2021 e per un anno, l’eccellenza del made in Italy. Dal quartier generale solofrano di Maffei reputano la manifestazione una chance interessante. L’area è già molto attenta al lusso italiano, dicevamo, e per di più è prossima ad appuntamenti strategici come Expo Dubai (ottobre 2021- marzo 2022) e i Mondiali di calcio del Qatar (novembre – dicembre 2022). L’azienda, assistita dallo studio legale Freda, si presenta come un marchio produttore di “accessori in pelle di altissima qualità, rifiniti con elementi rigorosamente made in Italy”. Per avvalorare la propria candidatura, spiega di “star investendo nel settore del recupero e del riciclo”. Come? Rigenerando “con trattamenti ecologici sperimentali” pellicce usate, così da realizzare borse “di grande eleganza”, nonché “virtuose ed ecologiche”. Non solo. Da Maffei spiegano di star già investendo nell’internazionalizzazione. Hanno registrato il marchio “in Cina e Hong Kong, Canada e Giappone”, insieme a “Italia e UE, USA Corea e Russia”.

“Troppo cara”

“Conoscendo bene la logica dei distributori locali, riteniamo che abbiate dei prezzi di vendita molto alti”. Perché? Con trasporto e dazio le borse “andrebbero a prezzo al dettaglio finale vicino alle firme conosciute, per cui riteniamo non abbiano nessuna possibilità”. Quando il 23 febbraio da Dubai hanno comunicato la bocciatura della candidatura di Maffei, a Solofra sono rimasti a bocca aperta. “Maffei è un esempio di made in Italy integrale: lo è nei materiali, negli accessori, nella forza lavoro, anche nei designer – obietta l’avvocato Valerio Freda –. Credevamo che sarebbero stati questi i criteri di selezione dei candidati. Invece da Dubai si sono basati solo sul prezzo e lo hanno fatto in modo arbitrario. Che vuol dire? Che sono disposti a promuovere il made in Italy solo a condizione di svenderlo”.

La beffa

Per Marica Maffei (in foto), dicevamo, il sapore della vicenda è quello amaro della beffa. “Se mi avessero esclusa per un’altra ragione, per un errore formale da parte nostra o perché si era già raggiunto il numero massimo di partecipanti, l’avrei accettato. Che lo facciano per il prezzo no”. L’incredulità si basa proprio sulla lunga esperienza familiare nel campo della moda. “Lavoriamo in Cina, Giappone e Stati Uniti e non abbiamo mai avuto problemi con i grandi distributori. Abbiamo partecipato a fiere in tutto il mondo, di quelle dove la selezione la fanno i privati, con successo. È assurdo che ci escludano proprio da una manifestazione sostenuta da fondi dallo Stato”. Il brand Maffei se ne farà una ragione e andrà avanti, certo. Ma il suo patron ritiene l’incidente a suo modo sintomatico. “Proprio per il coinvolgimento pubblico, ci avrebbero dovuto portare a Dubai. Qui, poi, sarebbe stato compito nostro trovare l’intesa economica con i buyer interessati – conclude l’imprenditrice. L’economia italiana si basa sulle piccole e medie imprese, che non delocalizzano e che fanno le cose per bene. Sono proprio quelle che stanno soffrendo di più la crisi. Se l’intenzione è aiutarle, non lo si può fare in questo modo inadeguato e burocratico”.  (rp)

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