È così che le cinture FAP Italia navigano durante la tempesta

È così che le cinture Fap Italia navigano durante la tempesta

Come navigare durante la tempesta e riprendere la rotta già dal 2021. Le cinture FAP Italia ci sono riuscite con il sostegno di uno dei grandi gruppi del lusso per cui lavora, che nella crisi scatenata dalla pandemia ha confermato gli ordini. E anche grazie agli investimenti sul proprio brand. La liquidità è assicurata da spalle solide, finanziamenti ottenuti e contributi intercettati grazie ai bandi. Il marchio, che produce cinture di lusso, ci dice come ha superato il 2020 e perché vede un futuro roseo davanti a sé, “anche se la paura resta”. Abbiamo parlato con Giorgio Stamerra che, insieme alla moglie Paola Volponi, gestisce l’azienda con sede a Trezzo sull’Adda (Milano).

Cinture FAP Italia

Stamerra, fotografiamo la sua azienda
Abbiamo iniziato a produrre cinture nel 1985. Oggi impieghiamo 32 persone, le stesse del 2019, e produciamo circa 3.500 cinture al giorno. La produzione è svolta soltanto internamente, con il sistema Lean della Toyota. Il fatturato, che era cresciuto molto dal 2015 al 2018, ha avuto un battuta d’arresto l’anno scorso. Abbiamo perso il 27%, scendendo a quota 3,5 milioni di euro. Il 60% arriva dall’attività di terzista per il lusso, il 40% dalle vendite del nostro marchio, soprattutto in Giappone e Corea.

Come avete affrontato la pandemia?
Abbiamo subito un calo degli ordini e abbiamo avuto le difficoltà correlate a quelle di Brooks Brothers. Per non licenziare e ridurre al massimo il ricorso alla cassa integrazione, abbiamo iniziato la produzione di mascherine. Abbiamo fatto un gran lavoro per cercare e sfruttare le opportunità che c’erano a livello finanziario: agevolazioni e contributi attraverso bandi. E devo dire che il grande gruppo del lusso per cui lavoriamo, al fine di sostenere la sua filiera produttiva, ci ha aiutato molto, garantendoci gli ordinativi.

Bandi che prevedono investimenti: di che tipo?
Puntiamo al rafforzamento della produzione per il brand di proprietà. Vogliamo ampliare i mercati esteri e l’offerta, con borse, portafogli e altro. Abbiamo allestito uno showroom virtuale. E sta per partire un nuovo progetto incentrato sulla sostenibilità, dal prodotto realizzato con pellame conciato al vegetale e i restanti materiali riciclati fino all’approvvigionamento green di energia elettrica.

 

 

E ora come sta andando l’azienda?
Siamo tornati a livelli del 2019. Non ce lo aspettavamo. Sono aumentati gli ordini da parte delle griffe che lavorano con la Cina. Probabilmente hanno accentrato su di noi qualche ordine. Presumo che ciò derivi da un nostro metodo di lavorazione, che è stato brevettato e che consente una precisa cucitura a specchio sulla cintura. Questo ci porta un vantaggio competitivo.

Quindi le prospettive sono buone?
Sì, anche se la paura rimane. Le incognite sono ancora molte. I negozi sono chiusi, le vendite di abbigliamento sono in picchiata, figuriamoci quelle relative alle cinture, che rappresentano la nicchia della nicchia. Oggi le cinture si vendono soprattutto perché c’è il logo sulla fibbia.

Tutti i vostri prodotti sono in pelle?
Assolutamente sì. Per noi gli altri materiali, al momento, sono out. Molti materiali definiti alternativi contengono plastica o petrolio. Per le nostre cinture utilizziamo vitello pieno fiore. Per i brand per cui lavoriamo, crosta e vitello ritoccato. Chiaramente tutto made in Italy. (mv)

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