Nico Giani, il 2020 è stato solo uno stop: la volontà è crescere

Nico Giani, il 2020 è stato solo uno stop: la volontà è crescere

La scelta “etimologica”, perché non può esserci pelletteria senza pelle. E la voglia di ripartire, perché il Covid è stato solo uno stop forzato: i progetti di crescita sono ancora validi. Niccolò Giannini nel 2016 ha lanciato il brand di pelletteria Nico Giani. Nel 2017, poi, ha vinto il premio “Who Is On Next?” di Altaroma. Il marchio è partito forte e ha avuto una crescita robusta fino all’arrivo della pandemia. E in merito all’introduzione di nuovi materiali, Niccolò dice “no”, anche perché rappresentano un altro settore e non la pelletteria.

La vittoria a “Who Is On Next?” ti ha cambiato la vita?
Beh sì. Ho avuto più porte aperte e sono stato cercato all’estero proprio perché avevo vinto l’edizione del 2017.

Ma come mai hai scelto la pelletteria?
Ho studiato a Firenze, Parigi e San Francisco per diventare designer di abbigliamento, ma poi ho usato il buon senso e la strada tracciata dalla mia famiglia.

Qual è stato l’andamento del marchio fino alla pandemia?
È partito molto forte. I primi anni sono stati positivi, all’insegna di una crescita sostenuta. Siamo arrivati a fatturare un milione di euro. Una crescita che deve essere affrontata adeguatamente. Infatti alcune questioni erano emerse già prima della pandemia.

Solo uno stop

Qual è stato l’impatto del Covid?
Un impatto negativo importante. A livello di vendite ho fatto un salto indietro di tre-quattro anni.

E ora?
Si riparte con l’esperienza accumulata e con una immagine del brand più alta. Rispetto al 2016 oggi il marchio è un valore aggiunto.

Con quali prospettive?

L’obiettivo è sviluppare l’export. Vogliamo consolidare l’esperienza in mercati dove siamo presenti, come Cina, Corea, Giappone, Russia ed Emirati Arabi. Vogliamo anche aprire nuovi mercati. E poi ci sono gli Stati Uniti, che potrebbero essere l’ago della bilancia.

 

 

Quanto conta l’export sul fatturato?
Il 50%. Prima della pandemia puntavamo ad arrivare a 250 punti vendita. Senza questo stop eravamo sulla buona strada. Oggi siamo a quota 50 punti vendita: 25 in Italia e 25 all’estero.

Hai riscontri sul rimbalzo delle vendite in Cina?
Per un piccolo brand e giovane non si può parlare di rimbalzo. I clienti cui ti proponi hanno bisogno di vedere e toccare l’oggetto e oggi è impossibile. Non è così per brand storici e affermati. Puoi comprare online. Devono ripartire i viaggi di lavoro.

E il mercato italiano?
Molto complicato e con tempi di incasso lunghissimi. Però ho in cantiere l’apertura di un punto vendita a Firenze per catturare il flusso turistico.

Parliamo di produzione…
Mi autoproduco a Calenzano (Firenze), dove ho il quartiere generale. In totale siamo in 7. Quantità e qualità sono garantiti da un’organizzazione efficiente che dispone di macchinari all’avanguardia per facilitare il processo di industrializzazione del prodotto. Tutto made in Italy, neanche a dirlo.

Qual è il tuo rapporto con la pelle?
Bello, ma anche conflittuale. Sono cresciuto con la pelle e a volte sono stato quasi in competizione con pelli e borse.

E che ne pensi di nuovi materiali?
Per ora non ho intenzione di utilizzarli. Penso che la pelletteria sia strettamente legata alla pelle. Se le parole hanno un significato… Tessuti e materiali innovativi rappresentano un altro segmento. In futuro dovrò comunque impiegare materiali che soddisfino le richieste del mercato. Attualmente non credo ci siano materiali con estetica e performance all’altezza della pelle. (mv)

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