Shein: “L’Italia è importante”, e noi ci lecchiamo le ferite

Shein: “L’Italia è importante”, e noi ci lecchiamo le ferite

Per Shein l’Italia è importante. Non è il primo mercato di riferimento, anzi in Europa viene dopo Germania e Francia, ma merita investimenti: l’emergente colosso cinese dell’ultra fast fashion ci ha aperto l’headquarter (a Milano) e un hub logistico (a Stradella, il secondo nel Vecchio Continente). Se la cosa farà contenti certi consumatori italiani, felici di poter comprare un paio di scarpe o una borsetta a pochi euro, per il tessuto manifatturiero del made in Italy è una cattiva notizia. È l’ennesima certificazione che il rapporto con il mercato domestico, in crisi, è lontano dall’essere recuperato. E che il segmento medio non vede l’agognato recupero.

Per Shein l’Italia è importante

Shein, fondato nel 2012, è l’astro nascente (o meglio: ormai nato) del cosiddetto ultra fast fashion. Con il suo modello di disintermediazione dei rapporti tra fabbricanti (in primis cinesi, ora anche turchi, brasiliani e indiani) e pubblico finale ha conquistato il mercato con prodotti on demand e molto economici. “L’Italia è un mercato importante sul quale stiamo investendo – ha detto a MFF Peter Pernot-Day, global head of strategy and corporate affairs di Shein –. L’Europa nel complesso è la nostra seconda piazza più rilevante dopo gli USA”. Buon per loro, ma non per noi.

 

 

L’Italia per la manifattura italiana

L’Italia per i produttori italiani di articoli moda è un mercato meno munifico e meno promettente. A proposito dei risultati relativi ai primi 9 mesi del 2023 (giusto per stare ai più recenti), Assocalzaturifici lamentava che “gli acquisti delle famiglie italiane hanno evidenziato un andamento poco brillante”. Cioè? “Hanno chiuso i primi 9 mesi con segni negativi sia nelle paia (-3,1%) che in spesa (-1,3%) sullo stesso periodo 2022 e, soprattutto, al di sotto del 5% circa a confronto coi livelli pre-pandemici, già largamente insoddisfacenti dopo anni di continue erosioni”. Nello stesso periodo Assopellettieri, sulla base dei dati elaborati dal centro studi di Confindustria Moda, segnala che l’import di prodotti è cresciuto del 9,2% su base annua e del 24,5% rispetto al 2019, con un prezzo medio di 26,4 euro.

Consumo critico, almeno cosciente

Da Assopellettieri riconoscono che il mercato interno è condizionato, tra le altre cose, “dalla continua erosione del potere d’acquisto delle famiglie, costrette ad esborsi crescenti per bollette e mutui”. Non possiamo certo noi fare ramanzine a chi non può accedere ai segmenti alti della moda. Però, dal momento che è molto in voga parlare di consumo critico, possiamo auspicare che il pubblico italiano ne sviluppi uno almeno consapevole in ambito fashion. Si dovrebbe apprezzare l’idea, vale a dire, che è meglio comprare meno accessori al prezzo stracciato (possibile solo in filiere lontane), a favore di pochi articoli sì dal cartellino maggiore, ma anche certificati e di qualità superiore. Ne trarrebbe vantaggio l’ambiente e quel segmento medio, un tempo spina dorsale della filiera moda, da anni mortificato dalle produzioni economiche (e ora stra-economiche) estere.

Foto da Shein

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