Ad Apple non basta il greenwashing per convincere i mercati

Ad Apple non basta il greenwashing per convincere i mercati

Prima Barclays e, poi, Piper Sandler hanno in breve tempo declassato Apple a “neutral”. E a Wall Street il titolo della multinazionale di Cupertino ha perso il 5,25% tra il 29 dicembre e il 5 gennaio. Non si prospetta un 2024 facile per la casa dei Mac e degli iPhone, stretta nella morsa di un boom agli sgoccioli e, soprattutto, di un mercato in raffreddamento. Dal canto nostro, a tal proposito, ci preme sottolineare un dettaglio: a certe aziende non basta il greenwashing, come la recente svolta leather-free proprio di Apple, per riconquistare i mercati ormai (per varie ragioni) in allontanamento.

Lo stop

Sia chiaro: è prematuro parlare di crisi. Anzi, il rallentamento è figlio anche del boom vissuto da Apple nel quadriennio 2019-2022, quando la capitalizzazione di Borsa ha raggiunto i 3.000 miliardi di dollari e il fatturato ha toccato i 298 miliardi. Detto in altri termini, dopo una stagione di tale crescita è fisiologico assestarsi su trend più contenuti. Ma negli affari del colosso della tecnologia si sono aperte delle crepe. Le vendite in Cina, ad esempio, nell’ultimo bilancio risultano in calo del 2,21% su base annua: non un buon segnale da un’area geografica che vale il 20% delle vendite e che si sta ponendo su posizioni ostili al brand. Perché? Non solo è ancora attuale la minaccia di Pechino di vietare i prodotti Apple ai funzionari pubblici, ma in Cina si fa anche più forte la concorrenza dei marchi nazionali della tecnologia.

 

 

Una offerta che ha bisogno di rinnovarsi

I problemi di Apple, però, non si limitano alle vendite in Cina. Ma, anzi, arrivano direttamente alle questioni industriali: l’offerta del marchio è la stessa da anni. Gli smartphone valgono oltre il 50% del giro d’affari e così se le vendite dei nuovi iPhone15 sono inferiori alle aspettative (con sensazioni negative anche per i futuri iPhone16, sostiene Barclays) a ingolfarsi è l’intera azienda. In questo senso rappresenta un campanello d’allarme per il CEO Tim Cook lo stato di salute di Microsoft, che ha compreso il potenziale dell’intelligenza artificiale generativa investendo su ChatGPT, mentre Apple ha insistito sui visori per la realtà aumentata.

Quando non basta il greenwashing

Ecco, fa sorridere, col senno di poi, pensare che Apple volesse dare una verniciata di novità al proprio catalogo puntando tutto su questioni laterali e marginali. Come sostituire la pelle con un materiale più scadente e meno sostenibile (ma “premium”) in nome della “responsabilità ambientale”. Ecco, il pubblico non ha abboccato all’amo. Mentre, a proposito di accessori, il mercato ha sopperito rilanciando con ancora più pelle: è il caso del brand Caviar, che offre un servizio aftermarket per rivestire le cover Apple con pelli di lusso. Con la svolta leather free a Cupertino non ci hanno guadagnato in termini di reputazione, ma hanno perso un’occasione di business.

In foto: a sinistra il case in FineWoven, a destra i servizi di personalizzazione high-end di Caviar

 

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