Conciatori e designer spiegano la responsabilità della pelle

Tanners and designers explain the responsibility of leather

Fulvia Bacchi, CEO di Lineapelle, premette: “Covid-19 non ha cambiato la situazione, ma ha accelerato l’esigenza di risposte e cambiamenti”. La sostenibilità era già diventata la priorità dell’opinione pubblica, nel mondo alle prese con la pandemia non bastano più “posizioni di circostanze”, continua Bacchi, o “l’accettazione generale di chi ha fatto dell’uso di materiali riciclati l’emblema della sostenibilità”. Serve di più. Conciatori e designer spiegano, allora, qual è già ora il senso di responsabilità della filiera della pelle e quali sono gli appunti di lavoro per il futuro. Lo fanno dall’account Instagram di Lineapelle, in un ciclo di video-selfie collegati al nuovo appuntamento fieristico A New Point of View e a Lineapelle Virtual Networking.

Conciatori e designer

Responsabilità vuol dire rispettare il nostro pianeta e la nostra gente – afferma Viola Dalle Mese, di Conceria Montebello –. Vorremmo essere ricordati come la generazione che ha superato l’antropocene. Per riuscirci, ci siamo dati due obiettivi: innovazione e inclusione”. “Viviamo una nuova epoca, quella in cui le persone si sentono responsabili della vita delle prossime generazioni”, aggiunge Azzurra Giannoni, della Conceria Tuscania. L’impegno si traduce nella vita quotidiana e nell’attività imprenditoriale: “Tutta la supply chain – continua – deve dimostrare la stessa responsabilità in ogni fase di lavorazione”.

Bottali sostenibili

E se Narayan Hamel, dell’olandese Rompa Leather, ricorda come la sua impresa applichi con investimenti nel processo e in macchinari il proprio impegno per la green innovation, Chiara Mastrotto può vantare per Gruppo Mastrotto un percorso sessantennale, fatto anche questo di investimento e impegno sul territorio. “La responsabilità per noi va in due direttrici importanti – dice –: ambientale e sociale. Dal punto di vista ambientale lavoriamo un prodotto stupendo, che è la pelle, naturale e plastic free”. La concia è chiamata a una sfida epocale, dicevamo. Secondo Charlotte Tusting, della britannica Tusting and Burnett, “Il design non deve essere beneficio di pochi e a svantaggio dei più. Perché sia possibile è necessario che tutta la supply chain lavori insieme, per creare prodotti che siano realizzati con cura ad ogni passaggio di lavorazione”. L’obiettivo è, un giorno, poter “guardare indietro ed essere orgogliosi delle scelte che si sono fatte”.

 

 

Designer e opinionisti

Responsabilità ed essere responsabili sono concetti simili, ma non sono la stessa cosa – nota Maria Theresa Laudades, giornalista e ricercatrice –. In Italia la responsabilità è un elemento che fa parte della sua identità. Gli italiani sono stati i primi a preoccuparsi e prendersi cura davvero delle proprie comunità. Non è un fenomeno di oggi, ma che appartiene alla storia della moda”. Nel fashion system, dunque, c’è un trend che va dal Belpaese verso il mondo. “Venezia è la mia città, il luogo dove faccio le ricerche che mi permettono di portare nel globo un prodotto etico e rispettoso – riconosce Elisabetta Armellin, del brand V73 –, nell’augurio che le mie borse possano aiutare a creare un futuro migliore”. Un designer che voglia essere sostenibile, d’altronde, ha tanti modi per mettere in pratica la propria intenzione. Ci sono i vantaggi che il digitale porta con sé, una certa sapienza produttiva che eviti la formazione di over-stock e futuri scarti, e la stessa concezione del prodotto. “Quando disegniamo, lo facciamo in maniera modulare, di modo che possa essere poi disassemblato – porta ad esempio Anina Net, di 360 Fashion Network –. In questo modo i materiali e le componenti potranno essere separate per essere riciclate”.

Pubblico, privato

La responsabilità è nella vita di tutti i giorni, dalla leadership dell’azienda e nei ruoli della vita – sostiene la designer Bav Tailor –. Per me significa lavorare sulla mia ecologia personale. Non c’è bisogno di essere perfetti, c’è bisogno di iniziare”. “Molti di noi dicono di volere un mondo migliore per i propri figli – conclude Anna La Germaine –: è nostra responsabilità crearlo attraverso le nostre azioni. Prima di lanciare una nuova attività, bisogna chiedersi come influenzerà gli altri? Se agiamo bene, possiamo dare il via a una reazione a catena”.

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