La sfida mediatica di UNIC per difendere il prestigio della pelle

La sfida mediatica di UNIC per difendere il buon nome della pelle

È una sfida mediatica. O meglio: anche mediatica. Perché l’industria della pelle deve innanzitutto essere green. Ma, al contempo, deve anche raccontare i propri risultati green. Per questo è utile e importante che i vertici di UNIC – Concerie Italiane e di alcune delle principali aziende del settore siano intervenute in TV e sui giornali sul tema della sostenibilità. Perché sul mercato c’è un’area culturale, quella radicalmente veg o che al mondo veg strizza l’occhio, che non solo antepone lo storytelling allo storymaking (parla più di quanto fa, detto in altri termini). Ma pone nella propria strategia comunicativa il discredito o la vera e propria diffamazione dell’industria conciaria.

La sfida mediatica

Il primo palcoscenico lo offre il 18 marzo L’Italia con Voi, format di Rai Italia (in foto) per il pubblico internazionale. “Purtroppo la conceria paga lo scotto di un percepito negativo – dice Fulvia Bacchi, CEO di Lineapelle e direttore generale di UNIC (dal cui sito è tratta l’immagine) –. Eppure, dal paleolitico ci poniamo come tassello dell’economia circolare. Perché nessun animale è abbattuto per la pelle: recuperiamo uno scarto della macellazione, se non lo facessimo sarebbe un disastro ambientale”. Questo non vuol dire che il settore si sia seduto sugli allori di un merito storico. Anzi. “La conceria italiana ha migliorato i suoi standard produttivi: è pulita, moderna, sicura – aggiunge Bacchi –. Da oltre 60 anni le aziende italiane investono nella sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale”. I concorrenti, quelli che si presentano sul mercato con un marketing a misura di vegano intransigente, mestano nel torbido: “Sostengono l’idea che il loro sia un prodotto più sostenibile ed ecologico solo perché non di origine animale”.

 

 

Repetita iuvant

Per chi conosce la filiera, è un argomento noto. Ma per molti altri no, quindi vale la pena ripeterlo: dal momento che la concia raccoglie uno scarto della zootecnia, non è smettendo di usare la pelle finita che si porrà fine agli allevamenti. “Il nostro prodotto esiste da sempre e sempre esisterà, fin quando la gente si alimenterà di carni – continua il CEO di Lineapelle, questa volta dalle colonne di Fashion Magazine –. Non altrimenti dicasi per le alternative sponsorizzate dai vegani. Il consumatore è bombardato di messaggi che propongono materiali a base di funghi, cactus o ananas, che sono ancora da testare. Ma molti di questi non sono altro che plastica”. Peccato, però, che “nell’area fashion ci sia molta disinformazione apparente riguardo il settore conciario – sottolinea Stefano Parotti, co-CEO di Conceria Sicerp -. Forse si punta solo a cavalcare il trend del momento”.

La voce dei conciatori

Lo scontro, dicevamo, è tra chi fa e chi chiacchiera. “Se la pelle è un materiale biobased al 90%, le soluzioni cosiddette ecologiche lo sono solo al 40% – spiega Vito Marino, direttore di stabilimento di Bonaudo –. Parliamo di prodotti che non hanno una struttura meccanica e che si sfaldano facilmente, a differenza della pelle, richiedendo per questo l’impiego di resine di origine sintetica derivate del petrolio”. La concia italiana non si siede sugli allori: “Il nostro è un percorso in progress, che richiede un costante aggiornamento” rivendica Dino De Maio (DMD Solofra). “Nel nostro stabilimento – conclude Graziano Balducci, CEO di Antiba e vicepresidente UNIC – è presente pure una piccola conceria sperimentale focalizzata sulla ricerca, lo sviluppo e la formazione, aspetto quest’ultimo sempre più importante in un momento in cui i nuovi impianti e processi richiedono inedite competenze”.

Leggi anche:

 

CONTENUTI PREMIUM

Scegli uno dei nostri piani di abbonamento

Vuoi ricevere la nostra newsletter?
iscriviti adesso
×