La stilista che per spiegare la pelle si è comprata un toro vivo

La stilista che per spiegare la pelle si è comprata un toro vivo

“Nel 2017 il dibattito era binario: bisogna considerare negativamente la pelle perché collegata all’allevamento animale?”. Alice V Robinson, inglese diplomata al Royal College of Art di Londra, ha deciso di intraprendere un percorso culturale e imprenditoriale per spiegare che la risposta alla domanda non passa da posizioni manichee, ma dalla comprensione delle dinamiche tra le filiere della zootecnia e della concia. Perché quando si pone l’argomento in termini binari (cioè sì/no), si rischia di andare fuori strada. “Non si comprendono le sfumature – dice a Vice –: le pratiche agricole sono diverse a seconda dei casi e quindi è variabile anche l’impatto sull’ambiente, che è anche positivo”. Robinson per questa ragione nel 2019 ha comprato un giovane toro (bullock 374) ancora vivo dall’allevatore e con la sua pelle ha realizzato la collezione 374. Durante la presentazione al Victoria Albert Museum di Londra ha offerto un rinfresco preparato con le carni dello stesso bovino, mentre sulla base dell’esperienza ha scritto il libro Field Fork Fashion e ha fondato nel 2022 con un socio British Pasture Leather, azienda che fornisce pelli tracciate da allevamenti sostenibili inglesi.

Un toro per spiegare la pelle e la concia

Robinson ha studiato a Londra, ma è originaria dello Shropshire, regione agricola nell’Est dell’Inghilterra. Proprio le sue radici in una zona di coltivatori e agricoltori le hanno permesso di capire quanto la demonizzazione dei materiali animali fosse sbagliata. “Perché la pelle è uno scarto della zootecnia”, riconosce con Vice, ma il problema è che arriva all’attenzione dei designer spesso “in forma anonima”, cioè senza un corredo di informazioni sulla sua storia e il suo percorso. Per questo ha comprato per 1.100 sterline un toro direttamente da un allevatore di fiducia, di cui conosceva la bontà delle pratiche e la serietà dell’azienda. Per dimostrare a chi invoca la messa al bando della pelle che lo sforzo sostenibile non è ripudiare un materiale, ma strutturare una filiera qualificata.

 

 

Il valore della tracciabilità

“Voglio collegare la pelle al paesaggio, alla comunità agricola, al cibo da cui proviene – sono le parole di Robinson –. Per un designer che vuole scegliere i materiali con cui lavorare e con cui realizzare prodotti a proprio nome, questo collegamento è difficile da ottenere”. Innescare il dialogo diretto con il fashion system è anche un incentivo per le aziende agricole virtuose. “Vogliamo costruire un sistema – conclude la designer – che valorizzi le materie prime provenienti da allevamenti di qualità per sostenere le pratiche positive sul territorio”.

Foto da Instagram

 

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