Le contraddizioni di Santoni quando parla di “scarpe senza pelle”

Le contraddizioni di Santoni quando parla di “scarpe senza pelle”

L’intervista è uscita ieri, primo maggio, sul Corriere della Sera, sezione Finanza & Imprese del dorso L’Economia: a tutta pagina. Protagonista: Giuseppe Santoni, titolare dell’omonimo calzaturificio marchigiano. Uno degli ultimi di fascia top (per segmento e dimensioni) a mantenersi indipendente pur dichiarando che “potremmo aprire fino al 20% del capitale”. Non sono, però, le strategie finanziarie e d’impresa presentate in questa intervista che ci hanno fatto alzare il sopracciglio, vittime di una evidente preoccupazione. A suscitarla sono state una frase del sommario e un lungo passaggio all’interno dell’articolo. Esempi entrambi, per come la vediamo noi, di una serie di contraddizioni che, come troppo spesso accade, giocano sulla pelle dell’industria conciaria italiana.

Scarpe senza pelle

Il sommario dell’intervista mette sull’avviso i lettori (e noi in allarme) che “l’imprenditore delle calzature d’alta gamma studia prodotti senza pelle”. Vien da pensare: chi non sta provando a farlo, oggi? Del resto, trattasi di business: se quello animal free è un mercato, a parte pochi “puri e duri”, tutti stanno provando a metterci un piede. Peccato che, poi, la spiegazione che Santoni dà del suo progetto scivoli in alcune contraddizioni fastidiose e dannose per l’immagine della pelle, materiale sul quale ha sempre basato le sue produzioni.

 

 

Le contraddizioni di Santoni

Parlando dei 26 brevetti registrati, Santoni spiega che uno riguarda “una scarpa rivoluzionaria, da tenere in borsa, in microfibra riciclata, con sopra un biopoliuretano. Lo abbiamo creato in casa, con il nostro laboratorio chimico”. Ok. Peccato per quel che arriva dopo. Prima di tutto, quel che scrive l’autrice dell’intervista (Alessandra Puato): “Scarpe senza pelle, dunque: una tendenza, per l’azienda marchigiana”. Poi, la puntualizzazione di Santoni: “In questo momento non c’è domanda per la scarpa vegana”. Però “noi crediamo nel progetto e lo stiamo spingendo. L’obiettivo è che il 30% della collezione sia sostenibile entro il 2024, fabbricato con materiali riciclati o riciclabili e non di provenienza animale. Anche se la pelle resterà”.

Che idea di sostenibilità è?

La domanda sorge spontanea. Se entro la fine del 2024 Santoni punta a sviluppare “il 30% della collezione” in modo sostenibile significa che sia quello che sta facendo ora sia il restante 70% non lo sarà? Poi: fa strano leggere che questo “30% sostenibile” sarà ottenuto con “materiali riciclati o riciclabili e non di provenienza animale”. Come se la pelle non fosse già di suo un materiale circolare sia perché è un rifiuto recuperato, sia perché i suoi scarti permettono a loro volta di essere riutilizzati. Insomma, una raffica di contraddizioni per giustificare quella che è solo una normale scelta di business. Contraddizioni che, però, risultano lesive dell’attività e dell’impegno green di un intero settore industriale.

Leggi anche:

CONTENUTI PREMIUM

Scegli uno dei nostri piani di abbonamento

Vuoi ricevere la nostra newsletter?
iscriviti adesso
×