Si fa (forse), ma non si dice (prima): è l’epoca del greenhushing

Si fa (forse), ma non si dice (prima): è l’epoca del greenhushing

Quella del greenwashing è agli sgoccioli (ci si augura). Perché intanto si afferma l’epoca del greenhushing (della discrezione in tema di sostenibilità). Washington Post conia la nuova espressione osservando la trasformazione in atto nell’industria della moda (e non solo). Prima brand e fondi di investimento sbandieravano obiettivi e risultati green, certi che il pubblico li avrebbe accolti con (acritica) fiducia. Ora che l’asticella si sta alzando, e che consumatori, autorità e agenzie si aspettano che i suddetti risultati green siano dimostrabili e misurabili, brand e fondi battono in ritirata.

L’epoca del greenhushing

Washington Post parte dall’esempio di Blackrock. Il fondo di investimenti, che ha ciclopici interessi in molti settori inclusa la moda (è azionista di ABG e di Macy’s, per fare qualche esempio), ha dalla notte alla mattina rimosso dal portale web l’impegno ad azzerare le emissioni di carbonio “entro il 2050 o prima”. Il caso di Blackrock non è un caso isolato: è la punta dell’iceberg. L’agenzia di consulenza South Pole riporta che su un panel (anonimo) di 1.200 aziende, il 25% dichiara di non voler annunciare in anticipo gli obiettivi di sostenibilità che si sono preposti. Perché? Pur muovendo dalle più genuine intenzioni, il rischio che i propri obiettivi siano smentiti alla prova dei fatti è sempre presente. E per imprese, magari quotate in Borsa, perdere al contempo la credibilità presso il pubblico e quella presso gli azionisti è il peggior scenario possibile.

 

 

Greenwashing agli sgoccioli

Il tema sollevato da Washington Post ci riporta alla memoria lo scivolone capitato a Gucci in primavera. Il brand ammiraglio del gruppo Kering ha dovuto cassare dai portali lo status di “carbon neutral” perché intanto stampa e authority inglesi picconavano l’affidabilità dell’ente certificatore (Verra). Forse è presto per parlare della fine del greenwashing, la malsana attitudine a cantare vittoria (sostenibile) su presupposti a dir poco affrettati e labili. Ma il greenwashig è agli sgoccioli. La società è in evoluzione e di conseguenza il business è chiamato a prendere le contromisure. I proclami da ufficio marketing non bastano più, perché l’opinione pubblica non si accontenta delle belle parole: vuole i fatti. I brand imparino che la sostenibilità prima si fa e poi, a risultato acquisito, si comunica. Non il contrario.

Immagine da Shutterstock

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