Il credo di Gabriela Hearst: sì alla pelle, no al marketing veg

Il credo di Gabriela Hearst: sì alla pelle, no al marketing veg

Tra sostenibilità e finanza, Gabriela Hearst ha scelto la prima. E si è per così dire immolata. Per aumentare i ricavi di Chloé, avrebbe dovuto “ammorbidire” le sue posizioni considerate troppo intransigenti di fronte al “green”. Come quella relativa al netto rifiuto di utilizzare i cosiddetti materiali vegani. “L’idea che le scarpe vegane stiano aiutando l’ambiente è solo un buon marketing” ha ripetuto lo scorso marzo la designer uruguaiana. La quale, per geografia e cultura, ben conosce l’industria della pelle. Hearst è considerata una delle designer più spinte nel mondo della moda dal punto di vista dell’etica e della sostenibilità. Ma la sua avventura in Chloé ci ha detto che attualmente un grande marchio non può pretendere sostenibilità e ricavi. Deve scegliere: o l’una o gli altri.

Il credo di Gabriela Hearst

Oggi “profitti ambientali” e aziendali non vanno d’accordo, soprattutto per un brand di dimensioni significative. Ancor più se fa parte di un grande conglomerato. “Non penso mai alle tendenze. Se mi imbatto in una tendenza è per puro caso. La qualità è tutto. La gente mi chiede perché i miei vestiti costino così tanto. È perché il materiale e la manifattura dureranno per tutta la vita e oltre” aveva detto in un’intervista rilasciata al Guardian.

 

 

Sì alla pelle, no al marketing veg

I materiali utilizzati per realizzare i prodotti Chloé sono sempre stati selezionati con cura. Pelle compresa. Hearst ha sempre preferito utilizzare gli scarti della pelle piuttosto che i materiali alternativi. In altre parole: ha rifiutato la visione che, se si vuole rispettare l’ambiente, è meglio preferire i materiali vegani. “Finché mangiamo carne, la pelle ne è un sottoprodotto“, ha detto. “Quindi è un buon materiale da usare. Quando torno a casa nel mio ranch in Uruguay mi chiedono: cosa sta succedendo nel Nord? Devono bruciare la pelle, perché la gente preferisce indossare il poliestere. L’idea che le scarpe vegane stiano aiutando l’ambiente è solo un buon marketing”. Quanto all’approvvigionamento dei pellami, la stilista era piuttosto scrupolosa, ne valutava la tracciabilità e la corretta lavorazione. (mv)

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