Sulla pelliccia in vitro, sull’impatto della carne, sulla pelle

Sulla pelliccia in vitro, sull’impatto della carne, sulla pelle

La rassegna stampa della settimana ci regala momenti di riflessione sull’idea di innovazione. Anche radicale, come dimostrano gli investimenti del gruppo LVMH sulla “pelliccia in vitro” (per dirla in termini semplici). Ma la rassegna della settimana ci ricorda, allargando lo sguardo, anche che premessa fondamentale di ogni idea di innovazione, in chiave sostenibile o meno, è che i dati su cui si ragiona siano raccolti in maniera corretta. Quando si parla di impatto della carne, spesso, non accade. Altrimenti gli svarioni, pure dai palchi più prestigiosi, sono sempre possibili.

 

 

Consigli di lettura:

  • Per cominciare, il riferimento “alla pelliccia in vitro” riguarda il filone di ricerca lanciato da LVMH per Fendi. L’obiettivo del gruppo è arrivare allo sviluppo di un materiale dalla cheratina che si ponga come alternativa alla pelliccia come tradizionalmente intesa, ma anche a tutte le sue varianti sintetiche, perché “i materiali plastici” sono “nocivi per l’ambiente”;
  • Ecco, a proposito di “premesse scientifiche” necessarie a individuare soluzioni corrette, è il caso di leggere questo pezzo di debunking su uno dei più grandi fraintendimenti della cultura di massa degli ultimi lustri. L’idea, cioè, che la carne fa male al pianeta e che il veganesimo è la soluzione a tutti i problemi;
  • Se le premesse sono sbagliate, difficile che siano corrette le conclusioni. Prendiamo quello che dice al Corriere il produttore di un materiale per la moda derivato dall’apparato vegetativo dei funghi: “Per noi, non può esserci innovazione che preveda l’impiego di animali come materiali”. La premessa è sbagliata per una ragione molto semplice. Ammicca all’idea cara ai vegani: l’idea che gli animali siano allevati affinché la loro pelle sia impiegata nel fashion e nel design. Ma non è così: la concia, come è noto, raccoglie un sottoprodotto della zootecnia.

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