I dati preliminari della concia italiana e i risultati delle filiere europee ed extraeuropee l’avevano già lasciato intendere: è stato un 2024 difficile per la pelle. I Risultati Economici dell’Industria Conciaria Italiana elaborati da UNIC – Concerie Italiane confermano la complessità della congiuntura. Nel 2024 il volume di produzione italiano è calato del 4,1% su base annua (-6,7% quello del cuoio suola), mentre il valore è calato del 4,5%, assestandosi a 4,1 miliardi di euro.
Un 2024 difficile
La congiuntura ha aspetti inediti, ha commentato il presidente Fabrizio Nuti durante l’Assemblea di UNIC (primo luglio, Milano): “Le difficoltà sono diffuse e generalizzate, non sembrano risparmiare nessuno dei principali segmenti di produzione delle nostre concerie”. E così, mentre il lusso deve ricostruire il rapporto con la clientela sulla base di un rinnovato value for money e le tensioni geopolitiche spaventano un pubblico già freddo, le concerie italiane si devono riorganizzare sul piano industriale. “Le imprese si aggregano, le filiere si integrano, gli approvvigionamenti e gli investimenti finanziari si diversificano. Le offerte produttive, intanto, si ampliano o si concentrano, a seconda delle esigenze specifiche – continua Nuti –. Secondo me, è un segno di salute per il settore, un indicatore del dinamismo che continua a pervadere il nostro mondo. Un brand del lusso non investe nel capitale sociale di una conceria se non crede nel materiale pelle. Così come un fondo finanziario non lo farebbe se reputasse che il business conciario non sia interessante nella marginalità di profitto”.
I dati
Tornando alle elaborazioni di UNIC, l’export della pelle italiana è calato del 3,6% a 2,8 miliardi. Pur nel momento complesso, la concia italiana si conferma leader continentale e globale. Vendendo materiali in 121 Paesi, l’Italia rappresenta il 67% del valore della produzione europea (25% di quella mondiale) e il 62% del volume (31% di quella mondiale). Al contempo la produzione della concia italiana si rivolge prevalentemente al premium/top di gamma (65,9%), ma è in grado di servire anche al segmento medio-basso (cui va il residuo 34,1%).
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