Quando Valentina si è accorta che al BDSM serve il made in Italy

Quando Valentina si è accorta che al BDSM serve il made in Italy

Il primo lavoro non è stato neanche un lavoro: lei, che con la pelle ci sa fare, ha realizzato un completino di cinture e finimenti per un amico diretto al gay pride. Era il 2020 e Valentina Raineri si è accorta che anche comunità di nicchia, come quelle della subcultura techno o dei praticanti del BDSM, hanno bisogno di accessori di qualità. “Di vero e proprio made in Italy”, dice lei. Così è nato Valentinavestitadicuoio (scritto così, tutto d’un fiato), brand degli “harnesses” in pelle e artigianali.

Figlia d’arte

Valentina Raineri (nella foto) è figlia d’arte. Non solo perché suo padre, Gianni, è un pellettiere, fondatore nel 1981 de La Cuoieria di Castanea (Messina). Ma perché proprio dal papà, che ha lasciato l’impiego a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione per lavorare nel mondo degli accessori, ha ereditato anche l’idea di libertà. “Sono nata in provincia di Messina, ma vivo a Bologna – racconta –. Quando ho vestito il mio amico, tutti gli hanno chiesto: dove lo hai preso?. Mi sono trovata sommersa di richiesta. La pelle la conosco, gli strumenti già li sapevo usare: sono laureata in giornalismo, ma ho deciso di fare altro”. Ha sentito richiamo delle origini? “In un certo senso, sì. Mi sono trovata la strada spianata con i fornitori e con tutto il necessario. Ma la verità è che da mio padre ho imparato la libertà: lui ha lasciato il posto fisso per seguire la sua passione. Così mi sento valorizzata, lavoro con passione”.

 

 

Di che cosa si è accorta Valentina

Che sul mercato c’era un gap da colmare. Che in questo segmento “mancava una produzione di qualità, made in Italy, con un design di eccellenza”. Nella sua giovane carriera, ha vestito performer e mistress, come si dice nello slang, nonché offerto i costumi di scena per video musicali. Certo, il suo marchio si rivolge a una nicchia: ma è una nicchia davvero vivace. “Ho molti clienti a Londra, Berlino e Vienna, dove ci sono comunità molto forti – racconta –, nuovi contatti li ho stretti al Mipel di marzo. Produco in maniera artigianale cinghie e cinture, ma in catalogo offro anche fodere, sketchbook, portachiavi”. Tutto in pelle? “Sì. Ho ricevuto richieste specifiche da vegani – risponde – e ho fatto esperimenti con materiali alternativi. Ma i risultati non mi hanno soddisfatto: dopo un po’ si sbriciolano. Nella mia idea di made in Italy ci sono la qualità e la durabilità”.

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