Gli UGG sono nostri: in appello Deckers stronca Australian Leather

Gli UGG sono nostri: in appello Deckers stronca Australian Leather

“Gli UGG sono nostri: sono solo di Deckers“. Dopo la condanna in primo grado, l’hub manifatturiero Australian Leather aveva presentato appello contro il colosso USA. Oggetto della battaglia: l’uso del termine UGG per indicare il celebre modello di calzatura con il pelo. Secondo gli australiani, infatti, quel particolare tipo di stivale è un simbolo della nazione. In altre parole: la parola “ugg” sarebbe un termine generico. Per questo ha contestato la proprietà del nome. Ma gli è andata male.

Una lunga battaglia legale

La battaglia tra Australian Leather e Deckers ha avuto inizio nel 2016, quando Deckers Outdoor Corporation citò in giudizio l’imprenditore australiano Eddie Oygur. Il quale è titolare dell’azienda di famiglia, Australian Leather, che fin dagli anni Novanta produce stivali del tipo ugg. Australian Leather dà lavoro a circa 40 dipendenti che realizzano 50.000 paia l’anno con pelli di pecora. Deckers. Invece, ha registrato il marchio UGG nel 1995 in 130 Paesi, tra cui anche l’Australia.

 

 

450.000 dollari

Il casus belli si determinò quando Australian Leather mise in vendita sul proprio sito web alcuni “ugg boots“. Il che, per il colosso americano, rappresentò una pratica scorretta. Tutto il contrario di quanto riteneva (e ritiene) Oygur, per il quale “ugg” non indicherebbe un esclusivo tipo di stivali, bensì un modello di calzature tipiche australiane. Una convinzione che, però, fu smentita già in primo grado, quando Oygur si ritrovò a dover a pagare un risarcimento di 450.000 dollari.

Gli UGG sono nostri

Oygur, comunque, non s’è arreso e, di fronte a quella sconfitta, ha deciso di presentare ricorso. Niente da fare. Il 10 maggio 2021 la Corte d’Appello degli Stati Uniti per l’area federale di Whashington ha respinto l’istanza. Una decisione che ha lasciato “sbalorditi” i legali di Australian Leather, come hanno spiegato ad abc.net.au. Allo stesso portale Oygur ha annunciato l’intenzione di proseguire per le vie legali: “Non ho altra scelta che portare il caso fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti”.

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