Argentina: la filiera della pelle rischia il cortocircuito

Nel pieno dell'emergenza sanitaria da Coronavirus, infatti, l'industria della pelle di Buenos Aires pare che come fa, sbagli

In Argentina, la filiera della pelle rischia il cortocircuito . Nel pieno dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, infatti, l’industria della pelle di Buenos Aires pare che come fa, sbagli. In queste ore alcune concerie avrebbero iniziato a richiamare al lavoro centinaia di dipendenti. Secondo sindacati e movimenti sociali, però, così si rischia di aumentare i contagi. Ma l’alternativa non può essere nemmeno licenziare, come dimostrano altre proteste di movimenti sociali. Né tantomeno sospendere il ritiro delle pelli dai macelli. Per cui il governo ha adottato dei provvedimenti.

Riaprire?

I media argentini raccontano che la conceria Toredo di Buenos Aires è pronta a far ripartire parte della produzione. Per questo ha richiamato al lavoro circa 150 dei suoi 500 lavoratori. Altri 40 non hanno mai smesso di lavorare perché le loro attività erano ritenute essenziali. Però, non lo sarebbero, a detta dei rappresentanti dei lavoratori, quelle che sono chiamati a svolgere i 150 pronti a varcare i cancelli della conceria. Si tratta di addetti alla salatura e alle caldaie che potrebbero essere a rischio di contagio. Non tanto in conceria, però, quanto sui mezzi pubblici, durante il tragitto casa/azienda.

Curtume CBR sotto attacco

Provengono invece dai movimenti El Retamo e No Mataras gli attacchi diretti a Curtume CBR. La colpa dell’azienda sarebbe quella di essersi preparata a ripartire con i suoi 800 dipendenti. Le autorità della città di Nonogasta, dove ha sede la conceria, hanno, infatti, consentito la ripresa. Una decisione “scandalosa” secondo i movimenti sociali. Gli esponenti delle due associazioni criticano la volontà di riportare in fabbrica i lavoratori quando la vita sociale è ancora ferma. E quindi senza rispettare l’isolamento.

La filiera della pelle rischia il cortocircuito

La paralisi del mercato dovuta all’epidemia di Coronavirus è, però, un dato di fatto. Quindi, nei giorni scorsi il macello Penta ha licenziato 240 addetti. Mentre la stessa conceria Curtume CBR, ma anche Sadesa, avrebbero fatto ricorso alla mobilità. Indiscrezioni che avevano attivato le forze politiche, locali e nazionali. Paradossalmente, però, le concerie non possono stare completamente ferme. Il governo le ha obbligate a continuare a ritirare il pellame grezzo dai macelli. Non farlo costringe questi ultimi a conservare la materia prima nelle celle frigorifere. Con i relativi costi. Che, inevitabilmente, innescano aumenti del costo della carne venduta, a danno dei consumatori.

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