I brand dello sport ascoltano i nonsense vegani: canguro a rischio

I brand dello sport ascoltano i nonsense vegani: canguro a rischio

Era appena gennaio quando, di fronte a una proposta di legge dello stato dell’Oregon sul bando delle pelli di canguro, la stampa locale si chiedeva come avrebbe reagito Nike (che nello stesso Oregon ha sede). Era febbraio 2021 quando auspicavamo, invece, che Nike, come tutti i grandi brand dello sport, non cascasse nell’ennesima campagna strappa-lacrime prodotta dal mondo animalista. Invece, tutto sommato a breve distanza di tempo, dobbiamo riconoscere che (fondamentalmente per ragione di marketing) le multinazionali dello sportswear preferiscono dare ascolto e quindi credito ai nonsense vegani, piuttosto che al buonsenso.

L’etica (da ufficio PR) dei grandi brand dello sport

È stato un uno-due in pochi giorni. Prima è uscita Puma, che ha annunciato urbi et orbi la rinuncia alla pelle di canguro. Sostituita da un materiale vegano e sintetico chiamato con la solita modestia di chi ammicca al mondo animalista “K-Better”. Poi è arrivata Nike, che ha sbandierato la “svolta green” delle Tiempo, dall’anno prossimo “kangaroo-free”: “Abbiamo risolto nel 2021 il rapporto con l’unico fornitore di pelli di canguro”, hanno detto a Reuters.

 

 

La spuntano i nonsense vegani

Chi legge La Conceria lo sa già. Contro l’uso delle pelli di canguro si è mossa la macchina del fango vegana che ha già criminalizzato la pelliccia, che vorrebbe riservare lo stesso trattamento alle pelli esotiche e che, in prospettiva, sogna di eliminare tutti i materiali animali dal fashion e dal design. Macchina del fango che, in estrema sintesi, parte dalla condanna morale per arrivare alla sostituzione industriale. Il mondo radical green, quindi, ha fatto leva su una descrizione a tinte fosche (eufemismo) della filiera australiana del canguro, dipinta come crudele e priva di regole, per alimentare il tam tam pubblicitario e le campagne di marketing da usare come clave contro i grandi brand dello sport. KIAA, l’associazione che rappresenta la filiera australiana, prova in tutti i modi a spiegare che le cose non stanno così. Lo ha fatto dalle pagine di questo magazine. E ora torna alla carica dalle colonne del Guardian: la raccolta delle pelli rispetta le leggi nazionali e internazionali, è sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, non riguarda le specie di canguro a rischio, ma solo quelle la cui popolazione va tenuta sotto controllo. Peccato non tutti l’ascoltino.

In foto, un modello Nike Tiempo d’archivio

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