Censis traccia le trasformazioni del fake durante il Covid

Censis traccia le trasformazioni del fake durante il Covid

Da un lato le strade vuote e la gente rinchiusa in casa. Una condizione, quella del lockdown, che ha interrotto alla base i meccanismi consolidati della produzione e distribuzione di articoli contraffatti in Italia. Dall’altro, il boom dell’e-commerce, che ha offerto un’opportunità nuova di business. Il Coronavirus ha cambiato tutto: inclusi i traffici criminali. Nel suo rapporto Censis traccia le trasformazioni del fake, che ha assorbito il colpo della pandemia mettendo in campo tutta la sua elasticità.

Le trasformazioni del fake

“Il rallentamento dei collegamenti internazionali, la limitazione della circolazione all’interno del Paese, i maggiori controlli sulle strade – recita il rapporto del Censis – hanno determinato una difficoltà nello spostamento di grandi carichi e l’impossibilità di vendita su strada delle merci false”. Gli operatori del fake non si sono dati per vinti, ma “si sono immediatamente adeguati alle nuove regole imposte dalla pandemia sanitaria e hanno saputo diversificare la logistica e il mercato, adeguandolo alle nuove richieste dei consumatori”. Come? Per un verso, dicevamo, spostando l’offerta sui canali e-commerce. Dall’altro, arricchendo la stessa offerta con quei prodotti la cui domanda “è esplosa durante l’epidemia: dispositivi di protezione individuale, igienizzanti, farmaci e persino test diagnostici”.

 

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I segmenti degli articoli moda

La biforcazione dell’industria fake tra canali ha comportato anche una polarizzazione dei segmenti. “I dati sui sequestri (sui quali ci soffermiamo tra breve, ndr) testimoniano la ancor forte presenza di una domanda di fake tradizionale”, osservano dal Censis. Che nella dicitura fake tradizonale include “borse, giubbotti, scarpe da ginnastica, abbigliamento sportivo”. Ma questa domanda si orienta “prevalentemente verso oggetti low cost, evidenti imitazioni di grandi marchi italiani o internazionali”, articolo farlocchi “che soddisfano la domanda di un pubblico che ha poche possibilità economiche, in cui sono maggioritari i più giovani”. L’alto di gamma, invece, si sposta online. A proposito delle operazioni di contrasto condotte in rete, Censis nota che “i prodotti più scambiati sono i cosiddetti luxury goods, soprattutto orologi di lusso, calzature, accessori di moda”. In questo caso “è frequente che i protagonisti della compravendita online siano cittadini italiani”.

I numeri del fenomeno

“Nel 2019 Guardia di Finanza ed Agenzia delle Dogane – riepiloga Censis – hanno effettuato 12.423 sequestri per contraffazione sull’intero territorio nazionale, per un totale di 27.331.086 articoli sequestrati. Dal 2008 a oggi i sequestri si sono ridotti del 31,1% e i pezzi sequestrati sono diminuiti del 35,0%”. Già, scorrendo le serie storiche, si apprende che il fenomeno (oltre che in trasformazione) è in riduzione. Bisogna essere prudenti, però, perché le variazioni percentuali si riferiscono ai sequestri effettuati dalle forze dell’ordine, non al valore di produzione (che rimane ignoto fino a quando non lo scopre la Giustizia). Quindi certi accorgimenti delle reti criminali, come il “traffico formica” (il movimento della merce sul territorio in piccole quantità), potrebbero aiutare a eludere i controlli e condizionarne il tracciamento.

 

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La prevalenza della moda

Il traffico di falsi ormai riguarda un novero di articoli molto vario. Nelle maglie della Legge finisce chi commercia pezzi contraffatti di ricambio auto, così come prodotti di cartolibreria, ferramenta, pellet, mobilio, custodie, loghi, etichette per l’assemblaggio e il confezionamento. Ciononostante, i prodotti fashion rappresentano ancora una quota maggioritaria degli articoli sequestrati nel 2019. Gli “accessori di abbigliamento” rappresentano una quota del 22,5% del totale, in netto calo rispetto al 2008 (-25,4%), ma in grande ripresa dal 2015 (+94,9%). I capi di abbigliamento valgono invece una fetta del 14,2% dei sequestri: in questo caso il numero di articoli sequestrati è in diminuzione del 2,4% rispetto al 2015 e del 67,2% rispetto al 2008. Più ondivago l’andamento della calzatura, la cui quota nel 2019 è del 10% circa, pari al +740% sul 2015 e al-50% sul 2008.

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