Fondi, PMI, rischi: gli aspetti da chiarire sulla mergermania

Fondi, PMI, rischi: gli aspetti da chiarire sulla mergermania

Gli esperti sono sicuri che anche nel 2023 il mercato delle acquisizioni andrà forte. E che l’Italia, grande Paese della moda e della manifattura moda, sarà ancora il principale teatro di deal. Sulla mergermania, la sequela di accordi di acquisizione a tutti i livelli della filiera, serve fare due precisazioni. La prima riguarda gli obiettivi degli attori in campo: i conglomerati fashion da una parte e i fondi di private equity dall’altra. La seconda gli aspetti critici della vicenda. Perché rimane vero che un’operazione di M&A prevede benefici per tutti: per chi compra, che ha bisogno di maggiore controllo della filiera, quindi di tempestività sul mercato e di migliori margini. E per chi vende, che accede a strumenti finanziari e a possibilità di investimento altrimenti impossibili. Ma non è detto che tutte le operazioni si chiudano con un successo.

La prima cosa sulla mergermania

Gruppi della moda e fondi, a farci ben caso, non sono in concorrenza. Sembra che chiudano le stesse operazioni, ma in realtà perseguono obiettivi diversi. Perché i gruppi verticalizzano la filiera, mentre il private equity esegue strategie di “buy and build”. Lo spiega Stefano Cervo, partner di KPMG, a Reuters: “Per un grande marchio ha senso acquistare, ad esempio, una conceria specializzata in pelli rare – dice –. Fatico a pensare che lo stesso grande marchio sia interessato anche a un’azienda che si occupa del processo di doratura di accessori metallici come la catenella di una borsa o i bottoni”. Detto in altri termini, il conglomerato compra i fornitori a maggior valore aggiunto (anche per metterli in sicurezza), mentre il fondo acquisisce PMI con ottimi fondamentali e buone prospettive.

 

 

La seconda

Certo, un deal rappresenta un vantaggio per entrambe le parti in causa. Ma non è detto che ogni deal sia un successo: qualcosa può andare storto. Ovvero? Il processo di integrazione della PMI nella grande holding può incorrere in crisi di rigetto. “Si possono manifestare problemi culturali tra le governance – dice a Vogue Business Conor Cahill, responsabile dei prodotti di consumo, Nord e Sud Europa di Deloitte -. Passare dal rapporto cliente – fornitore a quello di filiale – casa madre, con quello che comporta in termini di gestione o vincoli di rendicontazione, può generare attriti”. Il rischio, dunque, è che il personale della PMI decida di lasciare l’azienda. Svuotandola delle sue competenze e del suo know how. E lasciando al gruppo acquirente una società svuotata del suo valore aggiunto.

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