La Versace che sarà, quella che sarebbe potuta essere (con Gucci)

La Versace che sarà, quella che sarebbe potuta essere

A Los Angeles, in un appuntamento insolitamente fuori fashion week, la sera del 10 marzo (non a caso alla vigilia degli Oscar) si è vista la Versace che sarà. Donatella ha presentato la collezione FW 23/24 al Pacific Design Center (West Hollywood), mettendo in scena una “donna forte” che veste cappotti in pelle stampata alligatore o che abbina tubini eleganti a guanti e stivali arditi. Donna accompagnata (ogni tanto) da uomini altrettanto forti in sensuali tute di pelle. L’evento è stato per Donatella Versace l’occasione per parlare del futuro della maison. E per il fratello Santo di rivangare il passato che, tragicamente, non si è verificato.

La Versace che sarà

Innanzitutto, Donatella Versace spiega la scelta di sfilare fuori calendario: “Volevo uscire un po’ dalla settimana della moda. Non perché non mi piaccia, ma per avere un’ispirazione diversa”. Riporterà la maison nel programma di CNMI, chiede MFF: “Sì, sicuramente. La moda milanese è la moda milanese – risponde, spiegando di tenere sempre come valore prioritario la calma nel fare le cose –. Perché, con questa fretta di fare le collezioni, non si ha neanche il tempo di sperimentare certe cose. Spostandoci di quasi un mese, abbiamo avuto più tempo per lavorare”.

Calma, qualità

I concetti di calma e qualità vanno insieme. “C’è bisogno di   glamour, quello non appariscente, quello che non è fatto soltanto di paillettes e di sfavillii – afferma la direttrice creativa –. Lo streetstyle lascia il passo a un nuovo concetto di lusso”. Quale? “Secondo me la moda deve tornare alla qualità, ma anche andare avanti. La qualità e la sartorialità sono di nuovo la base di tutto – continua –. C’ è stato lo streetwear, che anche io ho fatto. Abbini i capi e dici: Wow. Però poi va a finire che c’è più styling che moda. Oggi bisogna tornare a basarsi sui vestiti e sugli accessori. Tra tutti, abbiamo lavorato sulla borsa Greca Goddess, che viene sempre dall’archivio”. Quello di Donatella Versace non è passatismo, sia chiaro: “Quello su cui ho insistito adesso è la sartorialità, non intesa come vecchio stile ma come tecnica per provare delle cose nuove. Ho ancora il mio atelier nel mio ufficio”.

 

 

La Versace che sarebbe potuta essere

Santo Versace, che fino al 2004 è stato amministratore delegato dell’azienda fondata dal fratello Gianni, ha da poco pubblicato con Rizzoli l’autobiografia “Fratelli”. Qui racconta dell’accordo di merger tra Versace e Gucci raggiunto nel 1997 e naufragato proprio per la prematura scomparsa di Gianni. Ora con il Sole 24 Ore torna a spiegare come sarebbe cambiato il corso del fashion system se un assassino non avesse terminato anzitempo la vita del fratello. “Avevamo trovato un accordo. Gucci, che era già quotata, avrebbe fatto un aumento di capitale che noi avremmo sottoscritto conferendo la nostra società. Tecnicamente, insieme, avremmo controllato il 60% del capitale nuovo aggregato. La moda non sarebbe stata più la stessa. Gianni aveva 50 anni ed era all’apogeo. In Gucci Tom Ford, che in quel momento era lo stilista più brillante della sua generazione, ne aveva 35. Loro erano fortissimi negli accessori. Noi lo eravamo nei vestiti. Una irripetibile combinazione di business e persone”.

Conseguenze in Francia

Il merger avrebbe cambiato anche la storia della moda francese. Perché “Kering non sarebbe esistita – sostiene Santo –. Perché il gruppo della famiglia Pinault, che prima si chiamava PPR, ha avuto un passaggio fondamentale quando nel 1999 ha assorbito definitivamente Gucci”. Se le cose fossero andare come si stava pianificando, l’Italia avrebbe avuto il suo gruppo del lusso: “Versace e Gucci sarebbero stati un campione nazionale vero – conclude –. Con forza finanziaria, capacità produttiva, solidità logistica. Saremmo arrivati ovunque”.

Foto da Instagram

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