La zootecnia italiana alza la voce contro UE e alternative “green”

La zootecnia italiana alza la voce contro UE e alternative “green”

Ce n’è abbastanza per parlare di auto-sabotaggio in nome di una presunta (e del tutto retorica) svolta green. La zootecnia italiana alza la voce contro l’Unione Europea. E, più in generale, contro quell’ecosistema mediatico che è pronto a smantellare l’agrobusiness tradizionale per lasciare spazio alle alternative “green”, come amano definirsi. E, soprattutto, alla concorrenza internazionale. “Secondo diversi studi – dice Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni e consigliere delegato di Filiera Italia – le strategie UE Green Deal e Farm to Fork porteranno a un calo della produzione europea di latte e carne fino al 30%, quando la domanda mondiale di proteine nobili animali sta crescendo”.

Parola della zootecnia italiana

È il Sole 24 Ore a dedicare un ampio spazio al tema. Per il business italiano, che complessivamente vale (tra allevamenti e aziende di trasformazione) 46 miliardi, è frustrante assistere a un dibattito che demonizza la carne su parametri sballati: i consumi medi pro-capite qui sono un terzo di quelli americani. Il settore teme, oltretutto, che si ripeta quello che è successo nella pesca: che si assista prima, cioè, alla dismissione delle imprese locali, per, poi, aver bisogno di coprire il fabbisogno con le importazioni da aree extra-UE.

 

 

Il tema della sostenibilità

Il paradosso è che tutto ciò avviene in nome della sostenibilità. “La zootecnia italiana vanta dati sulle emissioni inferiori alla media europea – afferma Ettore Prandini (Coldiretti) – e del 50% più bassi di quelle globali. Non è vero che i prodotti ultraprocessati proposti come alternativa alla carne e al latte siano neutrali sotto il profilo ambientale: richiedono grande quantità di acqua ed energia”. “È una mistificazione – riprende Scordamaglia –. Si propone al consumatore come carne pulita un prodotto realizzato in laboratorio prelevando da una vacca gravida e senza anestesia liquido amniotico che viene processato in un brodo antibiotico all’interno di un bioreattore. Questa sarebbe la naturalità?”.

Un assist per i competitor

“Si rischia di spostare la produzione verso altre aree del mondo con standard inferiori ai nostri”, chiosa Scordamaglia. “Preoccupa la destrutturazione produttiva all’orizzonte in Europa – conclude Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura –, che rischia di scollegare la produzione dai territori e promuovere il cibo sulla base di diete globali”.

Nella foto (Shutterstock) un pascolo in Abruzzo

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