Così Romagna Furs ha reagito al Covid, prima, e alla guerra, poi

Così Romagna Furs ha reagito al Covid, prima, e alla guerra, poi

Tra le difficoltà di approvvigionamento e il movimento no fur, le pelliccerie sono tra l’incudine e il martello. Nonostante questo, le prospettive sono rosee. Almeno quelle di Romagna Furs, azienda fondata da Giorgio Magnani nel 1971 a Civitella di Romagna (Forlì). Oggi Romagna Furs è una delle 5 aziende più importanti nel settore della pellicceria d’Italia. Dispone di un quartier generale di 4.500 metri quadrati a Falciano, Repubblica di San Marino. A TheOneMilano abbiamo incontrato il responsabile commerciale della società, Paolo Ricci (nella foto).

Tra pandemia e guerra in Russia, come è cambiato il mercato?
È cambiato totalmente. Prima della pandemia aveva un andamento regolare e tutto sommato buono. Dopo lo stop del Covid è arrivata la guerra, che ha bloccato il mercato russo. Importante soprattutto per l’approvvigionamento della materia prima.

E come avete sopperito?

Durante la pandemia abbiamo partecipato online alle aste indette dalle principali case d’asta internazionali, come Saga Furs (Finlandia), Kopenhagen Fur (Danimarca), Sojuzpushnina (Russia) e Nafa (Canada). Ma si comprava a scatola chiusa, senza poter vedere il materiale. La nostra fortuna è stata quella di avere un magazzino già ben fornito nel 2019.

 

 

Acquisti complicati, dunque. E le vendite?
Il mercato italiano ha la quota del 60%. I mercati esteri di riferimento sono l’Asia con Corea e Cina. Notiamo che c’è una ripresa e le prospettive sono buone. Le preoccupazioni arrivano di più dal fronte approvvigionamento.

Perché?

Alcuni allevamenti sono stati chiusi, mentre è aumentato il prezzo della materia prima.

Quanto pesa il movimento animalista “no fur”?

Purtroppo pesa. Non saprei quantificarlo. Ma più che la perdita di fatturato attuale, bisognerebbe ragionare a lungo termine: noto che i giovani sono poco interessati alla pellicceria. (mv)

 

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