Green a parole: “Quando si discuterà della plastica nella moda?”

Green a parole: “Quando si discuterà della plastica nella moda?”

La guerra alla plastica (per così dire) ha portato alcuni risultati: ad esempio il recente bando alla plastica mono-uso previsto dalla direttiva europea SUP. Ma c’è un settore industriale nel quale il dibattito sui materiali sintetici è in ritardo: il fashion system. Per questo Syntethics Anonymous, report di Changing Markets Foundation, parte alla carica con la questione della plastica nella moda. Perché le griffe di tutti i segmenti amano vantarsi dei risultati nell’ambito della sostenibilità ambientale. Ma sono opache (o, a seconda dei casi, votate al greenwashing) a proposito dei materiali sintetici. Il tema, lo sappiamo bene, riguarda anche le alternative alla pelle. E, infatti, Forbes non può non segnalare che la maggior parte dei nuovi tessuti bio-based sono, come dimostra lo studio FILK, poco green e molto plastic.

La plastica nella moda

Syntethics Anonymous passa al vaglio le attività e le comunicazioni di circa 50 big brand, dal top di gamma (come Louis Vuitton e Gucci) al mass market (come H&M e Zara), passando dai portali e-commerce (Zalando e Asos). I risultati in termini di chiarezza e trasparenza degli obiettivi di sostenibilità sono ondivaghi. Di certo, l’impiego di materiali plastici è massivo: dall’analisi degli e-commerce di 12 brand europei, ad esempio, risulta che nella collezione primavera estate in distribuzione circa due terzi dei pezzi contengono tessuti sintetici. Per questo, insiste Forbes, la plastica nella moda è un tema che merita maggiore attenzione. “Come calcolava la stessa fondazione in un precedente studio – si legge –, la produzione di fibre sintetiche vale l’1,35% del consumo globale di idrocarburi. Poliestere, nylon, acrilico, PVC nel 2030 varranno il 73% della produzione tessile”.

 

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Le alternative alla pelle

Le alternative alla pelle sono una parte del problema. “L’istituto FILK di Friburgo ha analizzato la composizione chimica di materiali come Desserto, Piñatex e Appleskin – continua Forbes –. La ricerca ha dimostrato con un certo allarme che questi materiali, di solito celebrati come sostenibili, contengono anche microfibre di poliuretano (PU), PVC o poliammide”. Non solo. “The Circular Laboratory ha inoltre svelato che nella composizione di prodotti come Desserto c’è una percentuale minima di materiali naturali: per il resto si tratta di sintetici come il PU”. È un problema, perché dall’opacità sulla composizione dei materiali derivano “falsità a proposito delle loro proprietà biodegradabili – conclude Forbes –. Il dibattito sulle alternative sostenibili richiede più sfumature per evitare che si basi su fake news”.

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