The Atlantic: “La roba veg? Buona per il marketing della plastica”

The Atlantic: “La roba veg? Buona per il marketing della plastica”

Quella che oggidì si chiama “pelle vegana” (sic!) non è altro che la vecchia “similpelle”. Ma la roba veg, che secondo i propagandisti dovrebbe essere la panacea a tutti i problemi dell’ambiente, ha in realtà risolto un solo problema: quello del marketing della plastica. Per chi legge La Conceria, gli argomenti sono noti. Ma ci fa piacere che lo metta nero su bianco la testata USA the Atlantic. “Negli ultimi anni, le alternative alla pelle hanno beneficiato di un elemento a proprio vantaggio: la preoccupazione di un numero crescente di americani per l’utilizzo di prodotti animali. Il disagio di tali consumatori ha spinto gli investitori a versare denaro in aziende che progettano prodotti alternativi. Il risultato: pleather (plastic leather, ndr) è diventata pelle vegana. Termine che conferisce alla pelle sintetica virtù e desiderabilità che prima non aveva”.

Il marketing della plastica

Già, perché the Atlantic nota che mentre nel tessile abbigliamento materiali plastici come il poliestere e l’acrilico hanno trovato presto spazio e dignità, PVC e poliuretano sono rimaste a lungo sul mercato come alternative economiche alla pelle, senza mai giocarsela alla pari su temi come prestazioni, piacevolezza e durabilità. Oggi chi produce materiali vegani dice di farlo per l’ambiente e per gli animali. “Ma ecco il punto – chiosa la testata USA –: finora, l’unico problema risolto è quello del marketing”. Il discorso vale anche e soprattutto per le nuove versioni “plant based”, che vantano di partire da matrici vegetali. “A leggere le etichette, il massiccio ricorso alla plastica sembra essere difficile da evitare. Balenciaga, ad esempio, vende una giacca da uomo in Desserto. Secondo l’elenco dei prodotti del brand, il materiale contiene il 20% di fibre vegetali e il 12,5% di cotone, il resto è poliuretano e poliestere”.

 

 

Le questioni aperte

The Atlantic non intende bocciare categoricamente i materiali alternativi. Ma sottolinea tutte le questioni aperte che ne inficiano la millantata superiorità, al momento solo presunta. Ci sono le questioni estetiche (perché la pelle naturale rimane la più bella). Ma anche quelle industriali, relative a quando questi prodotti saranno davvero plastic-free ed economici, visto che al momento costano quanto le esotiche. Rimane il tema più importante: quello della durabilità e dell’effettiva sostenibilità. Perché un prodotto è green quando dura molto ed è riparabile, cioè quando l’impatto della sua produzione si distribuisce su un lungo ciclo di vita. Qualità che la pelle già presenta, le alternative no.

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