La pelle non ha le colpe che le attribuiscono e “non teme rivali”

a pelle non ha le colpe che le attribuiscono e “non teme rivali”

Uno speciale di Pambianco News sui cosiddetti materiali “next-gen” ci consente di tornare a un tema storicamente caro alla nostra testata, nonché centrale nel numero 6 de La Conceria 2022. La pelle non ha le colpe che i denigratori di varia specie le attribuiscono. La concia, come spiegano i vertici di UNIC – Concerie Italiane alla stessa Pambianco, guarda con attenzione alla platea di tessuti derivati da biomasse che si affacciano sul mercato. Ponendosi, vale la pena ricordarlo, spesso in termini non solo concorrenziali, ma apertamente e ontologicamente ostili (“noi siamo meglio, più green, non comportiamo la morte di animale” etc etc). Ecco, la concia è impegnata nel proprio percorso di efficientamento verso la più completa sostenibilità. Ma proprio perché è consapevole della propria natura circolare e dei risultati fin qui raccolti, non teme rivali.

Il focus di Pambianco

L’approfondimento di Pambianco parte da una premessa economica. Secondo l’organizzazione no profit Material Innovation Initiative, il mercato dei tessuti next-gen (quelli ricavati da fibre di cactus, di mela, di vinaccia e chi più ne ha più ne metta) dal 2015 ha attirato investimenti globali per 2,3 miliardi di dollari. È sufficiente per preconizzare la fine dei materiali tradizionali, come la pelle? “Vero è – risponde Fulvia Bacchi, direttore generale di UNIC – che certi brand sperimentano nuovi materiali. Ma si tratta appunto di sperimentazioni”. La concia è certa del fatto suo. Perché “la pelle è utilizzata in diversi segmenti di mercato ed ha caratteristiche uniche e, tra queste, cito la naturalità e la durabilità – continua –. Sono convinta che il mondo fashion degli accessori della fascia alta e medio alta del mercato non potrà mai rinunciare alla pelle”. E poi perché i materiali next gen hanno ancora molta strada da fare, a partire da nomi e comunicazione: “L’attuale dinamica concorrenziale nei confronti della pelle si avvale spesso di una terminologia fuorviante e utilizza impropriamente la parola ‘pelle’ – argomenta Bacchi –. Si basa sull’assoluta mancanza di trasparenza sulle caratteristiche tecniche peculiari e di argomentazioni scientificamente supportate”.

 

 

La pelle non ha le colpe

Dell’argomento parliamo sul numero 6 de La Conceria. Perché da anni si assiste a una specie di coazione a ripetere. Quella per la quale sul mercato appare un nuovo materiale, o un nuovo processo produttivo, che si pone in alternativa alla pelle. E a corredo della propria innovazione pubblicano ineluttabilmente una sfilza di accuse alla concia. L’ultimo esempio è arrivato in primavera con VitroLabs, startup californiana che si propone di sviluppare un metodo di coltivazione in bioreattori di derma animale a partire da campioni di cellule prelevate tramite biopsia. I fondatori della startup sostengono che il progetto è eco-friendly anche perché affrancherebbe la concia dal peso dell’impatto ambientale dell’attività di allevamento. Argomento che non sta né in cielo né in terra. Perché chi conosce la dinamica della filiera sa bene che non si allevano bovini, capre e pecore per la pelle. Ma per il latte, la carne e la lana. I bottali, al contrario, recuperano uno scarto destinato alla discarica e lo nobilitano in un materiale per la moda.

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