Aggregazioni sì, aggregazioni no: opinioni italiane a confronto

Aggregazioni sì, aggregazioni no: opinioni italiane a confronto

Dai problemi generati dalla ridotta dimensione delle aziende italiane (anche le più conosciute) alla macrosoluzione di creare un polo del lusso. Opzione utile non solo per contrastare l’egemonia francese, ma per sopravvivere e crescere. Per gli operatori della fashion industry italiana, però, non esistono le condizioni necessarie per riuscirci. E concretizzarle è un compito che spetta alla finanza, creando una holding del settore luxury. Quello delle aggregazioni è stato un tema portante di Milano Fashion Global Summit. E ha generato un dibattito piuttosto interessante.

La ridotta dimensione

La questione della ridotta dimensione delle imprese italiane in ambito moda è stato il fil rouge di Milano Fashion Global Summit. “L’Italia – si è ascoltato nell’intervento di Carlo Capasa, presidente CNMI (Camera Nazionale Moda Italiana) – non ha mai favorito la costituzione di un polo del lusso. Non ci sono le condizioni favorevoli come quelle che ha trovato Arnault”. Capasa ha affermato che la volontà degli imprenditori ormai non basta e ha chiamato in causa la finanza. “Piccolo e bello – gli ha fatto eco Cirillo Marcolin, presidente di Confindustria Moda -, non è più la panacea per le nostre imprese. La crescita dimensionale può avvenire con consorzi, accordi di rete o fusioni, ma il governo deve seguirci con incentivi”.

 

 

Aggregazioni? La finanza risponde

La “finanza” risponde e, in una certa maniera, non le manda a dire. Per esempio, c’è chi sostiene di aver provato a creare un polo del lusso, ma senza riuscirci. Uno di questi è Francesco Trapani che, quando era CEO di Bulgari (prima che la maison finisse nelle mani francesi di LVMH), ha cercato di formare una cordata italiana. “Ma non ci sono riuscito. E la colpa non è di nessuno. La mentalità dell’imprenditore italiano è o controllare o cedere l’azienda” ha affermato Trapani che, alla domanda perché in Francia ci siano riusciti, ha replicato che i marchi transalpini del lusso sono più antichi e più maturi. Un altro tentativo è quello fatto dal Fondo Strategico Italiano che, nel 2013, ha fatto sedere attorno un tavolo 10 grandi gruppi italiani per mantenere in Italia Loro Piana. Risultato? È passato anche lui a LVMH. Un po’ lo stesso destino di Versace (brand rappresentato nella foto di copertina, tratta da versace.com), che però non è finito in Francia, ma nel portafoglio statunitense di Capri Holding. (mv)

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