Un anno di Covid sul fashion system, che ancora non ne esce

Un anno di Covid sul fashion system, che ancora non ne esce

Berluti ha deciso di posticipare la presentazione della collezione menswear di oltre un mese. Lo show era previsto a Shanghai il 4 marzo e già prevedeva un format phygital. La maison del gruppo LVMH lo ha spostato all’8 aprile: non è noto il perché, ma tutti sono certi che si tratti di un adattamento al decorso della pandemia. Già, perché è passato ormai un anno da quando si è abbattuto il Covid-19 sul fashion system. Il 9 marzo 2020, con il lockdown italiano, è cambiata la storia. Certo, è ormai noto che il virus circolava già a fine 2019, mentre nei primi mesi del 2020 condizionava le attività della moda, delle fiere e delle fashion week. Indicare la data esatta di inizio della crisi pandemica è un’operazione arbitraria. Ma è importante.

Covid sul fashion system

La cronaca del 2020 è amara. La pandemia si presenta da subito come una minaccia. L’industria della pelle si pone da subito in maniera proattiva per individuare soluzioni tempestive, ma si trova in uno scenario che cambia e s’aggrava di giorno in giorno. La calzatura riconosce che la pandemia rappresenta un fattore critico nuovo in uno scenario già di suo complesso. Mentre i comparti industriali si interrogano sul da farsi, Palazzo Chigi impone il lockdown. La filiera reagisce in due modi: da un lato si preoccupa di offrire un contributo fattivo alla società nel momento più complesso, dall’altro si attiva con gli organi di rappresentanza per assicurarsi che la propria voce sia ascoltata nei luoghi del potere.

Le riflessioni

La pandemia impone una lunga stagione di riflessioni. Giorgio Armani, invitando il lusso ad approfittare della pandemia per ripensare sulla sua stessa natura, apre un dibattito di respiro internazionale. Nella fase finale del lockdown, le imprese manifatturiere invitano ad accelerare la definizione dei protocolli affinché le attività economiche possano riaprire in sicurezza. Intanto gli eventi fieristici sono costretti a riscrivere i calendari, all’Italia e all’estero.

 

 

Gli scenari

In primavera ed estate, mentre il confronto tra i leader del lusso italiano e la politica diventa anche burrascoso, si delineano i due driver del mercato. Le due direzioni, cioè, impresse dal virus sul business della moda: la centralità del mercato cinese e dell’e-commerce. Gli analisti, quelli che annualmente registrano l’andamento dell’industria del lusso, aggiornano i propri strumenti di ricerca ai tempi attuali. Le proiezioni non possono più essere univoche, come un tempo. Si impone la necessità di tararle ai possibili decorsi della pandemia, dal più lieve al più grave: l’ipotesi della ripresa si sposta verso la fine del 2021, o al 2022.

La ferita aperta

Malgrado il Coronavirus, ci sono gruppi, come LVMH, che hanno visto consolidare le proprie posizioni. La seconda ondata ha spezzato la speranza di chi credeva di aver risolto il problema nei due mesi di lockdown. Il caso di Berluti, dicevamo, ci ricorda come la ferita sia ancora aperta. D’altronde, ancora oggi gli eventi fieristici, tutti a vario titolo in formato digitale o phygital, non possono dirsi certi del proprio calendario, ma devono riscriverlo di pari passo con le disposizioni nazionali. Intanto l’effetto del virus si legge sui dati congiunturali. Confindustria Moda calcola che la manifattura italiana nel 2020 abbia perso a causa della pandemia 25 miliardi di euro (-26% su base annua 2019). “Nei primi mesi del 2021 – spiega il presidente Cirillo Marcolin – si registra un trend simile a quello del trimestre precedente, con un calo del fatturato del -18,4%”. Assocalzaturifici valuta, intanto, che nei primi nove mesi del 2020 la scarpa italiana ha perso 101 imprese, 2.600 addetti e il 33% del fatturato. Assopellettieri stima che il calo medio del fatturato nel comparto si attesti sul 40%. UNIC – Concerie Italiane registra che nel 2020 la pelle ha perso il 26% in valore e, in volume, il 19,6% (-28,7% il cuoio suola).

I fronti aperti

Il Coronavirus è stato uno stress intimo e professionale. Perché alle difficoltà industriali si sono aggiunte le perdite personali: negli ultimi 12 mesi i distretti italiani sono stati funestati da lutti. Ma nello scenario si sono aperti anche alcuni fronti di novità: in piena pandemia sono molti i designer che si sono lanciati in nuove imprese. Anche questa è una storia in corso: ve la raccontiamo su La Conceria n. 3, prossimamente in distribuzione.

Foto Imagoeconomica

 

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